Al Sant’Anna di Torino le nascite annuali sono 7497. L’ospedale è stato riconosciuto recentemente come centro d’eccellenza nazionale in campo ostetrico e ginecologico e lo scorso dicembre ha ricevuto i tre bollini rosa dal ministero della sanità come struttura tra le migliori in Italia per la cura e l’assistenza della donna. Eppure in questa struttura modello, nella notte tra il 26 e il 27 dicembre scorso Angela Nesta, 39 anni, ha perso la vita insieme alla sua bambina nelle fasi preparatorie al parto per delle complicazioni intervenute tre giorni dopo il ricovero.
Poche ore prima, nel giorno di Natale, Anna Massignan, 34 anni, medico di base a Lonigo e Sarego, è morta durante il parto cesareo (all’8. mese) deciso dai medici per le conseguenze di una accidentate caduta dalla scale di casa la sera del 23 dicembre. Nemmeno il neonato è sopravvissuto al tentativo di parto. La tragedia si è consumata all’ospedale di San Bonifacio (Verona), dove nel 2014 (dati Agenas) si sono registrati 1749 parti.
Il terzo caso in pochi giorni, dopo Torino e Verona, è quello di Marta Lazzarin, 35 anni, blogger di fama nazionale. Alle 12 del 28 dicembre la donna arriva all’ospedale in preda a forti dolori, perdite di liquido amniotico e febbre. Fin da subito i medici diagnosticano la morte del feto e poche ore dopo per Marta cominciano le contrazioni del parto. L’epilogo è tristemente noto a tutti. L’ospedale di Bassano del Grappa conta 1217 parti l’anno.
La quarta donna a morire di parto in meno di una settimana si chiamava Giovanna Lazzari, 30 anni, che avrebbe dovuto partorire la sua bimba tra due settimane, ed è invece morta giovedì 31 dicembre all’Ospedale Civile di Brescia insieme al feto che portava in grembo. La struttura ha ospitato 3544 parti nel 2014.
Quello che dovrebbe rappresentare un esito nefasto dovuto a complicanze rarissime ed imprevedibili sta invece assumendo delle dimensioni preoccupanti.
Un fattore che accomuna questi eventi, e desta perplessità, è la dimensione delle strutture. Si tratta di ospedali che garantiscono più di 1000 parti l’anno, tutti – quindi – in piena applicazione di quel Patto per la salute, che ha condannato il polo neonatale di Tortona e di tanti altri ospedali a favore di realtà più grandi, nel sacro nome di una maggiore sicurezza delle pazienti.
Poco più di un anno fa, il 9 ottobre 2014, un comunicato stampa della Regione Piemonte riportava questo passaggio: “Sulle maternità, l’attenzione è massima: i punti nascita vanno difesi dove raggiungono volumi che garantiscano sicurezza alle mamme e ai neonati. La soglia minima di parti è 500 all’anno.
«Nessun giudizio sull’operato dei sanitari – specifica l’assessore regionale ala sanità Antonio Saitta – solo la necessità di razionalizzare sia nel pubblico che nell’offerta privata i servizi che in Piemonte forniamo all’utenza: nessun calcolo ragionieristico, semmai la massima attenzione alla salute dei nostri cittadini».
Oggi, dopo aver applicato la teoria, più di una persona potrebbe domandarsi se, all’atto pratico, i fatti rispecchino le intenzioni. Sono passati solo 14 mesi da allora, ed in solo sette giorni sul tavolo dell’obitorio di realtà ospedaliere modello sono finite quattro giovani donne morte insieme alle loro creature per eventi correlati al parto.
Il Ministero per la salute ha inviato i propri ispettori, per verificare che i protocolli siano stati perfettamente rispettati. E se il problema fosse proprio nei vincoli imposti dal protocollo?
Annamaria Agosti
3 gennaio 2016