Pubblichiamo di seguito un intervista realizzata da Giacono Prati su wsimag.com alla band tortonese Ufomammut che ha appena concluso una tournée negli Stati Uniti riscuotendo grande successo.

 

ufomammut - QJack: inizio sempre dal Nome… Ufomammut!

Poia: Ufomammut esemplifica la nostra musica: un ibrido tra una creatura del passato e una del futuro. Una commistione di due mondi. Non solo: anche l’idea di leggero e pesante, di tecnologico e di primitivo.

Non conosco bene il mondo dell’hard rock ma ammiro la vostra musica per vari motivi. Mi sembra che abbiate travalicato limiti convenzionali di genere e inoltre sapete trasmettere l’idea di un percorso, di un viaggio…

Poia: l’idea è quella di attraversare delle soglie, di passare diversi stadi di suono che sono anche diversi stadi mentali. E’ sempre presente questa componente di progressione, come dalla calma alla tempesta, a sua volta stravolta negli anni, come è il nostro percorso… esistiamo da 16 anni.

ufomammut - qAscoltandovi ho percepito, anche fisicamente, un senso di mistero insieme alla piacevole assenza di qualsiasi “fretta di realizzazione di un effetto”, virus purtroppo presente in molta arte e in molta musica…

Urlo: la musica che facciamo è su livelli. Parte quasi dal nulla e aggiunge, aggiunge, aggiunge fino ad arrivare a una sfera che contiene tutto. Questo accade perché facciamo quello che piace fare a noi, senza pensare se sia bello o possa piacere o come sia definibile. Lo facciamo per noi, per veicolare nostre emozioni. Non abbiamo bisogno di dimostrare qualcosa, né alcuna ansia di arrivare subito al punto, come fosse un prodotto da confezionare.

Ufomammut come un percorso iniziatico; la vostra musica “forma” il suo ascoltatore, attraendolo gradualmente verso ciò che già siete e fate. Per me è stata una vera scoperta!

Poia: ci siamo sempre mossi con cautela e determinazione. Volevamo solo trovare la nostra strada, fin dall’inizio. Non abbiamo mai cercato di assomigliare a nessun altro, pur avendo determinati gusti musicali.

Questo si percepisce. Si sente che c’è un lavoro sul linguaggio. Il risultato mi sembra potentemente suggestivo, capace di generare atmosfere ampie, profonde.

Urlo: spesso ci viene chiesto che cosa rappresenti la nostra musica. I nostri live sono accompagnati da proiezioni, perché l’immagine e il simbolo, anche nei testi, sono importanti. Ci chiedono quindi il significato di certe nostre scelte, anche in merito alle nostre copertine, alla nostra grafica (Malleus) ma cerchiamo sempre di non dare una spiegazione, nel senso che ci piace immaginare che ogni nostro ascoltatore abbia emozioni differenti e crei un Ufomammut tutto suo.

Che l’Opera resti aperta!

Urlo: esatto. I simboli che abbondano nelle nostre copertine non hanno un valore descrittivo o preconfezionato. Per noi hanno un determinato valore ma agli altri non indicano delle direzioni prefissate.
Poia: servono a stimolare degli interrogativi, a conservare delle parti oscure, nascoste, che sono il senso stesso del piacere della ricerca e della scoperta. Arrivare poco per volta alle cose, alla conoscenza. I simboli dei testi e delle copertine arrivano comunque dopo rispetto all’emergere della nostra musica. Il crogiuolo di tutto è la musica che componiamo. Tutto il resto è nascosto e viene alla luce successivamente. E’ un modo per trovare una propria via, anche per chi ascolta.

Amando molto i simboli, ho apprezzato la vostra capacità di riformulare in modo fresco, sorgivo, immagini antiche, anche alchemiche; e questa non è operazione facile. Mi ricorda quello che fecero John Milton e William Blake.

Urlo: Riferimenti che ci piacciono! Malleus e Ufomammut sono nati più o meno contemporaneamente e da uno stesso binario. Oltre a Poia e me, in Ufomammut c’è Vita, il batterista e in Malleus c’è Lu. Quindi sia per la musica che per la grafica abbiamo da sempre affrontato antichi immaginari in modo nuovo, conoscitivo. Ecate ad esempio era una dea pre-ellenica che attraversava i vari mondi, successivamente ridotta nel medioevo a figura di strega. Speriamo di dare stimoli per nuove interpretazioni.

Malleus crea visioni sia utilizzando formule geometriche, come per le copertine di Ecate e di Oro, sia utilizzando segni fluidi che ricordano l’art déco, il liberty, il mito di Lilith, i tarocchi di Aleister Crowley. Opera aperta ma in equilibrio fra semplicità e complessità: nella copertina di Oro e di Eve la vostra grafica pone il titolo in visione ternaria e speculare come quattro secoli fa faceva l’alchimia con l’emblema del leone nell’Incisione di Merian per l’Opus Medico-Chymicum di Mylius del 1618 e per il Musaem Hermeticum del 1625. Avete mai fatto mostre di queste copertine?

Ufo: una buona idea; siamo disponibili!

I vostri testi?

Urlo: la voce viene usata come suono, come uno strumento. I testi sono immagini. Spesso nei testi approfondiamo le figure che danno i nomi agli album.

Si percepisce, ascoltandovi, questa ricchezza di immagini e di immaginazione.

Poia: frammenti visivi, racconti stellari. Gli ultimi lavori (Eve, Oro, Ecate) sono dei concept: tutto ruota attorno a un tema. Ma anche i primi lavori non sono semplici raccolte di canzoni: c’è una dialettica circolare e non ci è mai piaciuto lasciare vuoti fra un pezzo e un altro. Emerge l’idea di una durata persistente, di un’Opera. La musica deve lasciarti il desiderio di riascoltarla, perché ci sono cose nascoste che scopri poco a poco.

Anche il nome Malleus mi piace molto… dà l’idea della fucina, del plasmare, della creatività che emerge…

Poia: viene dal Malleus Maleficarum

Le vostre esperienze all’estero?

Poia: abbiamo fin dall’inizio cercato il confronto con l’estero e da tempo andiamo in tour, in tutta Europa da sempre e a giugno di quest’anno anche negli Stati Uniti. E’ interessante quanto cambiano sia il comportamento del pubblico che l’esperienza extra concerto.

Altri gruppi che apprezzate e con cui siete in contatto?

Urlo: sono molti… alcuni li abbiamo prodotti noi con la nostra etichetta, la Supernaturalcat: Morkobot, Zolle, Lento, Ovo, ICO. Inoltre, sempre tra i gruppi italiani, apprezziamo The Secret, Zu e ce ne sarebbero molti altri: nei gruppi italiani c’è sempre una ricerca differente, perché devi confrontarti con mondi esigenti come quello anglosassone dove il rock è l’aria che respiri, mentre da noi non c’è la stessa cultura.
Poia: la conoscenza del rock l’abbiamo conquistata a fatica. Negli Usa, ad esempio, sembra che tutti conoscano il chitarrista dei Black Sabbath. Da noi, beh… è diverso. Questo ti spinge a cercare altre strade, anche in modo, a volte, naif.

Giacomo Prati 

22 novembre 2015

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