C’era, invece, un castello col fossato intorno e con il ponte levatoio, di cui sì può ancora cogliere qualche traccia nel tessuto edilizio al centro del paese.
Poi parte del fossato fu interrata, come ricorda tuttora il toponimo ‘Via del Fosso’; una parte, invece, fu risparmiata e, col passar del tempo, con l’acqua piovana, vi si versavano ‘i colaticci’ delle case ed anche i detriti, tanto da diventare, nelle relazioni ufficiali, uno stagno o una buca.
Ma in paese continuava, ostinatamente, ad essere chiamato ‘mare’.
L’eccezionale documento fotografico qui riprodotto, datato 5 settembre 1915, ritrae la famosa vasca contornata da tanta gente: dei bambini in primo piano, al centro il parroco don Angelo Maglia, con il banchiere Giroldo e alcuni soldati, la cui immagine è solo debolmente riflessa sull’acqua: questo a ricordarci che si trattava di acqua non troppo
pulita.
Tuttavia uno stretto rapporto ha sempre legato il ‘mare’ di Vho ai suoi abitanti.
Per i giovani era un luogo di trastullo, dove si recavano d’estate a sentire rane e rospi gracidare o d’inverno, quando gelava, a fare ‘ra sghìaróla’, mentre gli uomini, al tempo della vendemmia, vi immergevano le bigonce per renderle impermeabili e pronte per la pigiatura.
Le donne di casa, poi, vi andavano o fare il bucato.
Invece per i responsabili dell’igiene pubblica non era altro che acqua sporca, maleodorante, pericolosa per la pubblica salute, insomma “un deposito di luridume”.
Ma l’amministrazione comunale, pur intendendo eliminare tale bruttura, aveva sempre incontrato una forte resistenza a causa della ‘miseria idrica’, per cui anche quell’acqua era utile e preziosa.
Ma quando a Vho, pel corso degli Anni Venti, arrivò l’acqua potabile, quella buca non aveva più ragione dì esistere, anzi, la zona doveva essere ad ogni costo risanata.
E così il 6 giugno 1929 l’Ufficiale Sanitario di Tortona, dopo una nuovo visita, riferì che ‘quello stagno immondo, che raccoglie tutti i colaticci di Vho costituiva una minaccia allapubblica salute, tanto più che il liquame veniva usato per abbeverare il bestiame e, peggio, per lavare gli indumenti.
‘Ora non vi è dubbio che il provvedimento di togliere quella fonte di infezione, di inquinamento e di fetore debba essere subilo applicato’, concludeva il sanitario.
Ed il podestà, dopo tale rapporto, era deciso a risolvere finalmente il problema.
Ma insorse un ostacolo imprevisto: la buca aveva un proprietario, la Compagnia del SS. Sacramento.
Infatti il parroco dì Vho, don Angelo Maglia, tramite l’avv. Getto Cantù, presentò uno documentazione in comune in base alla quale risultava che nel 1709 gli uomini di Vho si erano rifiutati di “aiutare lo Giustizia per andare a Sarezzano” e così furono condannati a pagare una penalità di 19 scudi.
Non disponendo di tale somma, essi l’ebbero in prestito dalla Confraternita, che in pegno ottenne il fossato.
Da allora la Compagnia del SS. Sacramento ‘percepì in diverse epoche fitti e canoni per lo spurgo del fossato, ed ancor recentemente ebbe ad incassare un provento per detto causale”.
Per risolvere la vertenza il 25 gennaio 1930 il podestà Boragno trovò un’intesa con la Compagnia del SS. Sacramento, in base alla quale il comune le avrebbe assegnato, a tacitazione di ogni diritto,un certificato di rendita del debito pubblico del valore nominale di £. 300; inoltre, risanata la zona, si sarebbero costruiti un abbeveratoio,
una fontano ed un lavatoio con tettoia per le esigenze del paese.
E così il ‘mare’ fu interrato e fu recuperato un ampio spazio dove i bambini potevano giocare tranquilli e dove, alla festa del paese, veniva montato il ‘baraccone’ per il ballo.
Invece, delle promesse fontane neanche l’ombra.
Ed il mare ora continua a sopravvivere nella memoria dei più anziani e nelle battute dei tortonesi.
Armando Bergaglio
15 agosto 2015