Questo significa che il contenuto dei bidoni trovati pochi giorni fa nella cava Castello Armellino* (tra Sale e Tortona) può metterci anche ben più di vent’anni per percorrere, sottoterra, i 4 km che lo separano dall’abitato di Sale. *Un tempo largamente sufficiente* *a mandare il reato in prescrizione*.
L’acqua avvelenata uccide persone, animali, piante, ma anche abbatte il valore economico della terra e delle case che stanno su quelle falde. Tra discariche e interramenti illegali sono a rischio le falde acquifere di mezza provincia di Alessandria, come le falde di tanta parte d’Italia.
Ad aggravare la situazione c’è anche il Terzo Valico, e la cava Castello Armellino è proprio una delle tante cave destinate a ricevere, complessivamente, circa 10 milioni di metri cubi di terre e rocce da scavo del Terzo Valico. Come ad Alessandria (a Spinetta Marengo e al Cristo), a Tortona, Pozzolo Formigaro, Novi Ligure, Sezzadio.
Ora anche l’assessore all’ambiente di Tortona è venuto il dubbio che le terre e rocce del Terzo Valico (oltre a contenerne di loro e a servire ad infilarcene di nuovi) servano a seppellire meglio i rifiuti interrati in passato. E infatti si è detto preoccupato per le altre cave di Tortona. Ovvio: se qualcuno garantisce il contenuto di 20 scatole e poi, per ragioni impreviste, una di queste viene aperta e si vede che contiene una brutta sorpresa, allora sorgono forti dubbi sul contenuto delle altre 19.
Il minimo che ora va fatto, oltre che dare nome e cognome ai bidoni trovati a Castello Armellino, è andare a controllare il contenuto di tutte le altre cave, anche quelle “di riserva”. Proprio ora che anche gli entusiasticamente favorevoli della prima ora cominciano a sospettare che il
Terzo Valico abbia a che fare più con il movimento terra che con il trasporto delle merci in ferrovia (cosa che va certamente fatta, ma che richiede investimenti molto più intelligenti che non scavare altri tunnel dove già ce ne sono). E i sospetti cominciano a dilagare quando si
constata, ad esempio, che da quando è stato progettato il Terzo Valico *le dimensioni delle maggiori navi portacontainer sono triplicate, ed i fondali di Genova, bassi e rocciosi, non possono accogliere le navi più grandi che andranno invece sui fondali di Vado Ligure*. Tant’è che un eventuale nuovo progetto dovrebbe riguardare Savona e non Genova.
Ma l’estrema lentezza del movimento dell’acqua di falda ha anche altre importanti conseguenze. In particolare una seria riflessione fa sorgere una domanda: *se si aggiunge una sostanza solubile a dell’acqua che per muoversi di un centimetro ci mette un quarto d’ora, come si fa a garantire
che quella sostanza non si sciolga tutt’intorno, in tutte le direzioni, più velocemente dello spostamento dell’acqua nella direzione preferenziale? E quindi anche “a monte” oltre che “a valle”?
In altre parole: come si può garantire, come più volte è stato sostenuto nel corso del processo Solvay-Ausimont, che l’inquinamento di Spinetta Marengo vada sempre verso la Bormida? Tanto più che le cartine raffiguranti il fondo della falda superficiale (impermeabile salvo pozzi passanti) riportano una conca proprio sotto lo stabilimento Solvay?
Ma “impermeabile salvo pozzi passanti” è una frase che sta a ricordare un’altra cosa largamente ignorata dalla popolazione. Ovvero che *lo strato impermeabile che separa la falda superficiale dalla falda sottostante (quella da cui ora si prende l’acqua per bere e per cucinare) è bucherellato da moltissimi pozzi* che, indipendentemente dal fatto che siano utilizzati o meno, mettono in comunicazione le due falde, portando l’inquinamento superficiale nella falda “buona”. Da 50 a 100mila pozzi in tutta la Pianura Padana. Da 3 a 4mila pozzi nella sola provincia di Alessandria, dove però ne sono stati censiti solo circa 700, perché la maggioranza di quei pozzi non è mai stata denunciata.
Il problema per le falde italiane è enorme e l’Europa, con la risoluzione 60 del 2000, ha chiesto di tutelare le acque potabili anche ricondizionando quei pozzi, ovvero impermeabilizzando il passaggio da falda a falda, con un costo tipico che va da 10mila a 30mila euro a pozzo.
Ma siccome non si sa nemmeno dove sia ubicata la grande maggioranza di quei pozzi, e siccome è molto difficile che qualcuno appioppi a se stesso una multa da 20mila euro per aver fatto in passato una scelta che è diventata illegale solo anni dopo (una ventina di anni fa), è abbastanza
evidente che l’operazione può essere portata a termine solo se lo Stato si accolla il costo
dell’operazione con una sanatoria.
E qui si arriva alla comica finale di uno Stato che con una legge chiede ai proprietari di ricondizionare i loro vecchi pozzi passanti entro fine 2016 (ma senza metterci un quattrino), mentre i soldi che servirebbero a salvare l’acqua potabile degli italiani (ma anche a tenere aperti gli ospedali, a contenere il dissesto idrogeologico e tanto altro) li impiega per scavare
due inutili tunnel, mettendo in moto un colossale movimento terra che va a peggiorare lo stato delle falde acquifere.
Tino Balduzzi
15 marzo 2015