via Bonavoglia è infestata da fantasmi, oramai è assodato. Da più di tre anni, infatti, ciclicamente riappare il solito spettro della chiusura che incombe sul polo universitario. Cambiano le modalità, ma il messaggio è sempre lo stesso: “Non ci sono soldi, così non si può andare avanti”.
Chiudiamo tutto, allora. Rendiamo omogenea la struttura dell’Università con quella del Teatro, che addirittura non ha mai aperto i battenti. Abbandoniamo l’area al suo destino, lasciando che gli zingari vengano a stendere le mutande nel colonnato come fanno già periodicamente sul vicino piazzale, per donare un tocco di colore alla zona.
E dopo aver chiuso l’università, chi si farà carico del doppio onere, morale e finanziario, di un possibile futuro ed un verosimile lavoro, per i 150 e più giovani che, un tempo, sceglievano l’ateneo cittadino?
Una Amministrazione Comunale con seri problemi di bilancio da sistemare? Una Fondazione bancaria che già tanto ha dato ed alla quale non si può, peraltro, continuare a chiedere?
Trovare degli Enti Finanziatori in questo periodo, in questo territorio, è un’impresa che rasenta la “mission impossibile”.
Ottenere maggiori risorse da destinare all’ateneo cittadino è un sogno che abbiamo cullato per troppi anni e che potrebbe, peraltro, portare ad un brusco risveglio in tempi brevi.
Cosa si potrebbe fare, allora?
Difficile rispondere per un profano che non si trova dentro la stanza dei bottoni e non è neppure legato a carri politici.
Noi tortonesi abbiamo creduto, magari anche sperato, che nel consiglio di Amministrazione della Avogadro ci fosse qualcuno che potesse salvare il polo universitario, ma forse ci siamo sbagliati.
Forse abbiamo erroneamente pensato che chi, un tempo, aveva rappresentato l’espressione attiva della tortonesità potesse attivarsi e non solo salvare l’università infermieristica, ma grazie anche alle radici tortonesi, valorizzarla oltremodo e farla diventare un polo molto importante, magari legato ai trasporti su gomma e alla logistica, di cui Tortona è la capitale, oppure alla plastica, all’arte e alla cultura di cui ogni tortonese, nato o anche emigrato altrove, conosce bene.
Forse ci siamo illusi: non abbiamo capito che dopo la chiusura del punto nascite e i reparti che ci sono stati “scippati” e trasferiti a Novi Ligure, la Tortonesità, evidentemente, non esiste più.
La Tortonese Indignata
7 settembre 2014