L’interpretazione migliore dell’arte di Angelo Barbino sono i suoi studi, i suoi scorci ritratti con il carboncino, la matita, insomma è il cosiddetto bianco/nero a esprimere il meglio dell’arte di quest’artista tortonese.
Parlare sulle immagini, uscite dalla sua mano, s’intraprende un discorso lontano nel tempo, eppure il nostro pittore, ad avviso di chi scrive, offe il meglio di se stesso su questo fronte, riesce a superare il cromatismo a vantaggio della terza dimensione, supera il colore per trarre il meglio dell’arte figurativa nei chiari scuri.
Tutta la sua opera pittorica è degna di varcare la soglia dell’arte in quanto sa trarre l’espressione ad ogni soggetto, sia nel paesaggio come nella difficile raffigurazione della figura umana, tuttavia la miglior vena di Angelo richiama la forza del bicolore.
Nasce a Tortona nel 1883, diciassettenne Angelo ha l’occasione di conosce un altro grande, suo conterraneo della pittura, Giuseppe Pelizza da Volpedo dal quale è attratto per il modo di dipingere, proprio per essere riconoscente eseguirà il ritratto esposto alla Galleria Sole di Milano, acquistato dallo Stato italiano, oggi ormai disperso.
La famiglia del musicista Lorenzo Perosi invita i genitori di Angelo ad iscrivere il loro figlio all’Accademia milanese di Brera, allora diretta da Camillo Boito ov’è accolto con buone referenze, nonostante abbia preso parte ad una manifestazione studentesca di protesta.
È Tortona la città in cui trascorre l’esistenza, accompagnato dalla sua sposa Melania Berti; insieme andranno a risiedere a Palazzo Tedeschi, in via Matteo Bandello.
L’accademia di Brera presenta all’Esposizione Biennale: Rapina, il quadro di Angelo, un bel regalo parallelo alla nascita del figlio Bruno.
La Galleria Grubicy di Parigi nel 1912 è interessata alla sua pittura, frattanto espone ad Alessandria 35 opere presso il Salone Florè.
La sua opera s’interrompe per accorrere al fronte nel 1915 con il grado di sergente nel Battaglione Stato Maggiore del 155° Reggimento Fanteria; l’anno successivo sarà ricoverato all’ospedale della sua città; quindi a Venezia per un periodo di convalescenza. La Serenissima accoglie Angelo con la sua famiglia a Palazzo Albrizzi, per tornare nuovamente nella sua Tortona nel 1924, presso la villetta in via Fornaci, oggi dedicata al suo nome, per eseguire il trittico affidatogli da Monsignor De Tomasi, per la Cappella dei caduti a Broni.
L’industriale Roversi lo invita a Caracas, in Venezuela dove si fermerà per qualche mese, ad esporre 68 opere, tuttavia al ritorno visita i musei di Londra, Amsterdam, Parigi di cui serberà un ricchissimo ricordo per tutta la sua esistenza, fino al 5 novembre 1950 quando, a Milano, in casa del figlio cessa di vivere.
Franco Montaldo
18 agosto 2014