mercato - IQuesto non è un articolo razzista ma semplicemente la descrizione di ciò che succede a Tortona e in molte altre città italiane.
Siete mai stati di recente al mercato in piazza Milano? Sembra diventato il suk di Marrakech o di qualsiasi altra città internazionale dove la gente di ogni genere e religione si accalca, non solo per acquistare merce dai banchetti, ma anche per fare quattro chiacchiere.
Così troviamo capannelli di persone che si incontrano parlando del più e del meno, ma se fino a pochi anni fa tutti parlavano italiano, oggi piazza Milano sembra diventata una babele.
Un luogo di ritrovo di ogni genere e razza con gente che parla le lingue più disparate: arabo, rumeno, albanese, polacco, ucraino, e altre lingue incomprensibili, qualcuno anche italiano.
L’occhio attento del cronista nota i volti della gente e come sono vestite le persone: le donne arabe si distinguono subito dalle altre col loro chador ed i vestiti lunghi, così come gli uomini che indossano l’inconfondibile berretto e hanno la barba. Ucraine e russe spiccano per i loro capelli biondi, mentre gli albanesi li riconosci dai lineamenti, così come le rumene.
Qualche volta vedi delle persone sembrano italiani, ma quando passi vicino ti rendi conto che la lingua che stanno parlando è incomprensibile e capisci che ti eri sbagliato.
Il mercato di piazza Milano è molto più frequentato dagli stranieri che dagli italiani, eppure, a Tortona i residenti non italiani non arrivano al 20%…..
Ti accorgi che Tortona sta cambiando quando al mattino (o al pomeriggio) passeggi per le vie della città e noti una marea di donne africane e arabe che spingono il passeggino, attorniate da uno stuolo di bambini piccoli, regolarmente attaccate al telefonino di ultima generazione oppure che chiacchierano tra di loro, tranquille e sorridenti, in mezzo ai vecchi (tortonesi) seduti sulle panchine che aspettano la morte.
Ma perché sono così tante? E perché non ci sono donne italiane?
La risposta è semplice: le donne italiane lavorano, come gli uomini. Lavorano perché hanno una cultura diversa dalle africane e perché a differenza delle arabe hanno uno stile di vita più frenetico, e sono sempre stressate pensando al lavoro, alla casa e alla carriera.
Non hanno tempo per trastullarsi e passeggiare in centro.
Ma d’altro canto se così non fosse dove prenderebbe i soldi lo Stato (ed il Comune) per consentire alle persone bisognose di essere aiutate?
Chi ha la fortuna di lavorare, purtroppo, deve farsi il mazzo per mantenere chi questa “fortuna” non ce l’ha e per aiutare le persone povere che arrivano da ogni parte del mondo e qui in Italia (e a Tortona) possono trovare aiuti per il loro sostentamento: agevolazioni per i figli che vanno a scuola, servizi quasi gratuiti, e molto altro.
E’ la legge della sussidiarietà ed anche della logica cristiana. O per chi non crede in Dio della solidarietà umana.
D’altro canto non è certo colpa delle donne arabe se la religione islamica vieta loro di lavorare e devono restare a casa a fare figli. O se, per chi non è islamico, il lavoro non c’è per entrambi i coniugi ma soltanto per uno dei due.

IL PROBLEMA



A Tortona gli stranieri “regolari” non arrivano al 20% eppure in città sembrano molti di più ed in alcune scuole i bambini non italiani sfiorano addirittura il 50%.
“E’ l’invasione degli stranieri – dice qualcuno – ci stanno conquistando. Vengono qui e fanno i prepotenti, si credono a casa loro, comandano, non rispettano le nostre leggi e vogliono imporci il loro credo.”
In realtà non è proprio così, ma in un mondo globalizzato come il nostro dove i popoli poveri emigrano verso l’occidente è naturale che le città diventino sempre più un’insieme di popoli e razze: città tutte uguali dove le tradizioni si perdono o si mischiano con quelle degli altri Paesi.
Ed è questo il problema: perché mai uno straniero deve venire in Italia ed imporre il proprio stile di vita come accade spesso da noi? Perché solo in Italia accadono certe cose e uno straniero deve contestare il crocifisso a scuola o imporci il suo stile di vita?
Perché non deve essere lui, invece, ad apprezzare il nostro modo di vivere e le nostre tradizioni?
La troppa accondiscendenza delle istituzioni ai vari livelli ci sta facendo perdere la nostra identità.
Non abbiamo nulla contro gli stranieri, anzi, siamo ben felici di aiutare persone diverse e meno fortunate che arrivano a Tortona (e in Italia) per cercare di vivere meglio, e crediamo che l’interazione tra le culture sia importante perché consente ad ognuno di noi di arricchirsi individualmente, ma questo non significa perdere la coscienza delle proprie radici, perdere la tortonesità.
Chi sceglie di vivere a Tortona (o in ogni altra città italiana) deve capire che ogni luogo ha una sua storia e una propria identità che non deve essere persa, ma va conservata.
Se storia, usi e costumi dei popoli venissero perse saremmo tutti uguali: una marea piatta di persone, mentre è la diversità che arricchisce la conoscenza e ognuno di noi.
Gli stranieri che vengono a Tortona dovrebbero diventare un po’ tortonesi: conoscere e capire gli usi e costumi della città e – in un certo senso – adeguarsi ad esse.
Questo oggi non accade: si sta perdendo la tortonesità, cioè quella particolare connotazione che fa di Tortona un luogo unico cui vivere. Un concetto che vale anche per molte altre città italiane dove l’eccessiva immigrazione sta creando non pochi problemi.

 

UN APPELLO A COMUNE ED INSEGNANTI

Cosa fare per non perdere la propria identità?
Gli studenti che frequentano le scuole cittadine potrebbero imparare a conoscere la storia di Tortona e i personaggi famosi come Coppi, Don Orione, Pellizza, Perosi e tanti altri, i prodotti locali e tutto quello che contraddistingue la tortonesità attraverso un apposito programma parascolastico predisposto dal Comune o da qualche associazione locale sostenuta dal Comune dove si porta i ragazzi a conoscere la città, con visite guidate magari realizzare un museo fotografico sulla storia di Tortona utilizzando i grandi spazi del museo Orsi.
Gli insegnanti dovrebbero insegnare la storia di Tortona, spiegare ai ragazzi le caratteristiche della città in cui vivono, illustrarne le bellezze e tutto quanto fa di Tortona una città diversa dalle altre.
Bambini e giovani stranieri, in questo modo imparerebbero a sentirsi più vicini alla realtà locale, a capire che la città ha un’anima e che vivere qui significa anche amare la città e sentirsi tortonesi, perché qui siamo nati o cresciuti e qui c’è un pezzo importante della nostra vita.

Angelo Bottiroli

27 luglio 2014

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