Non è difficile trovare percorsi che permettono di apprezzare le nostre Alpi, ma quello realizzato dall’A.P.S. “STRADA FACENDO” di Pontecurone, domenica 22 giugno 2014, offre una sintesi forse più completa di altri.
L’inizio dell’escursione è sopra Champoluc, nel piccolo villaggio di Mandriou, che ha conservato le sue proporzioni nonostante la strada asfaltata che lo tocca, estinguendosi in un parcheggio di erba e ghiaia. Raggiunta in pochi passi la caratteristica Ca’ Zena, dove campeggia un’improbabile ma verissima ancora, lasciata da chi ha voluto stabilire qui il suo riposo estivo, un sentiero fatto di molte tracce più o meno ripide si addentra nel bosco, per poi uscire in un amplissimo pascolo in leggera pendenza. I pini e i larici si diradano, ma non per motivi climatici: alzando lo sguardo si vede infatti che essi ricompaiono più in alto, dove la pendenza e l’aridità del suolo non ne rendono conveniente lo sfruttamento per il pascolo.
Siamo nell’ampia zona che i valligiani hanno cominciato a sottrarre mille anni fa al bosco, tagliandolo per tre secoli fino a creare l’habitat della civiltà agricola e pastorale che conosciamo, poco sotto l’alpe Metsan (dove è stata recentemente organizzata la struttura agrituristica “Tchavana”, nostra base logistica), a circa quota 2000. Colpisce la larghezza della valle, creata in forma di ‘S’ dall’erosione glaciale; ci troviamo su una specie di grande balcone segnato da piccole costole moreniche ricoperte d’erba, che si protende verso est prima di precipitare nel fondovalle scavato dall’Evançon; oltre il torrente s’innalzano solo boschi ripidi che culminano con i ghiaioni e le roccette della punta Piure, anticima del corno Bussolaz. A nord vediamo la testata su cui spiccano i ghiacciai, a sud la valle si allunga verso i confusi contorni azzurrini delle cime che la separano dalla pianura padana.
Il sentiero attraversa con un ponticello l’acqua che scorre nell’antica sede del Rû Cortot, presenza determinante nella storia di questo luogo, e prosegue poi delimitato da guide in legno che dissuadono l’escursionista dal calpestare il prato, più inflorescenze che erba. Ci si ferma a contemplare un bel tratto della catena del Rosa, visibile nonostante qualche passaggio di nuvole. I ghiacci, imbiancati da neve fresca, mostrano diverse sfumature a seconda della loro pendenza. Si raggiunge l’alpe al centro di un grande arco, disegnato a ovest dalla cresta, abbastanza lontana, che congiunge il monte Zerbion al Facebelle, segnata dalle depressioni di alcuni colli un po’ impegnativi da raggiungere, ma invitanti. Diamo un’occhiata veloce all’agriturismo, dove potremo tornare tra non molto, per assaggiare la cucina locale e, eventualmente, acquistare qualche prodotto non troppo deperibile da portare a casa.
La comitiva formata da quarantotto soci, si divide in due gruppi, quello dei ‘camminatori tranquilli’ e quello degli escursionisti che ‘vogliono ancora salire’: i percorsi sono quasi paralleli, ma diversi per la quota. Tutte e due le comitive vedranno dispiegarsi, sul lato vallivo prospiciente, i numerosi insediamenti che nel nome ricordano la loro origine Walser. Al nostro fianco infatti si presentano pressoché sulla medesima linea, dentro ad ogni piega della montagna, i villaggi che i contadini Alemanni hanno creato con la migrazione del 1300, venendo dall’attuale canton Wallese; a loro si deve la maggior parte degli nuclei permanenti che la punteggiano, con i quali è stata colonizzata l’area già sfruttata dalla transumanza, in epoca romana, delle popolazioni celtiche accampate più in basso. Ancora nell’alto Medioevo gli insediamenti erano limitati alla parte inferiore della valle, ma erano comunque presidiati da organizzazioni monastiche aventi il loro centro nell’attuale Svizzera. Come Mandriou i villaggi del lato prospiciente sono tutti piccoli aggregati circondati dai relativi pascoli e separati da zone ancora boschive, con alternanza di verdi e di varie tonalità grigio-brune.
Il percorso più basso è particolarmente agevole: si snoda sopra una sterrata originata dai lavori che nel ‘900 hanno interrato il flusso d’acqua che, fin dal XV sec., il rû Cortot prelevava dalle riserve idriche fornite dal vallone delle Cime Bianche (proprio sotto il Rosa) e trasferiva fino agli aridi campi di Emarese (appena sopra l’attuale Saint Vincent), per far fronte nei periodi di siccità alle esigenze dell’agricoltura e del bestiame. Ora le medesime acque servono ancora le stesse zone, ma non più veicolate a cielo aperto come nell’antichità. Per arrivare nella bassa Valle d’Aosta il canale antico, dopo un lungo tratto scavato sul fianco della montagna ayassina, sempre con leggerissima pendenza anche dove il fianco roccioso era a precipizio, svalicava la cresta che separa la val d’Ayas dalla valle di Cervinia per gettarsi verso le aride pendenze che dominano Chatillon.
Quasi al termine del percorso scelto dai ‘camminatori tranquilli’ si incontrano due buie gallerie scavate nella roccia per interrarvi le tubature del canale moderno: ora sono percorribili a piedi (o in mountain-bike) con qualche precauzione. Avvicinandoci alla testata della val d’Ayas la prospettiva cambia, fino a permettere la vista del Cervino, intuibile anche dietro le nubi, e, in modo ravvicinato, le linee che formano il tormentato parco glaciale del Rosa: questo nome non allude al colore che le cime assumono al crepuscolo, ma nell’antico dialetto locale ha il significato di ‘ghiaccio’. Aggiriamo la cresta che scende dal Facebelle con qualche apprensione per i grossi massi che invadono la sterrata, testimoniando la continua evoluzione del territorio, e arriviamo così all’imbocco del vallone pensile di Nannaz, che precipita boscoso su Saint Jacques; si vedono alcune baite abbastanza ben conservate, nuovi prati e abbondanti torrenti . Dopo breve sosta si ritorna all’agriturismo, in tempo per il pranzo.
Il percorso alto, effettuato dal secondo gruppo, si inerpica sul fianco del Facebelle per raggiungere, sulla linea dolce della cresta, una depressione che ospita un laghetto, il Leichien, circa 250 metri sopra alle gallerie attraversate dal percorso basso. Nei tratti liberi dal bosco i fiori abbondano per la gioia degli esperti che sono in grado di chiamarli per nome e cognome. Giunti alla conca del lago, è possibile spaziare con lo sguardo sui 4000 ayassini e non solo, disposti a pettine tra la punta del Cervino e la punta Dufour, oltre che sui rifugi che permettono di salirli. Poi, con ripida discesa su sentiero un po’ sconnesso, si raggiunge la sterrata e le baite del vallone di Nannaz, già meta del primo gruppo. Il ritorno è effettuato da ambedue i gruppi lungo il canale antico, che si raggiunge perdendo circa 10 metri di quota, per proseguire lungo lo storico sentiero percorso dai sorveglianti addetti al rû. L’ente per il turismo ha provveduto ad alimentare questo canale in modo da restituirgli la voce, il mormorio all’ombra fitta del bosco.
Il nome Cortot appartiene al torrente che, scorrendo liberamente (circa 6 km) raccoglie le acque di scioglimento del ghiacciaio d’Aventine sul remoto fondovalle delle Cime Bianche, ma continua a denominare il rû (il canale) che si innesta sul torrente. I lavori per la sua costruzione iniziarono su concessione dei conti Challant, signori di tutta La Vallée, alla fine del 1300 e durarono 40 anni, riproducendo su vasta scala (circa 25 km) ed in condizioni particolarmente difficili le tipiche canalizzazioni che siamo abituati ad osservare ovunque sopravvive la civiltà contadina. Circa 300 anni dopo la peste impedì alla popolazione di compiere i lavori di mantenimento a cui era obbligata da vincoli feudali (connessi ai diritti previsti all’epoca) e il canale ridusse la sua portata, inizialmente poderosa, a causa dell’interramento e delle perdite, fino a disseccarsi dopo la costruzione del canale novecentesco sotterraneo che assorbiva tutta l’acqua. Quello che ne rimane però rende l’idea della fatica occorsa per realizzarlo; riportato in onore dal restauro non ancora ultimato, è stato parzialmente alimentato a scopo turistico.
Raggiunta di nuovo l’alpe Metsan per il sentiero che fiancheggia il rû, ci si riposa prima di scendere a Mandriou, dove dalla mattina ci aspetta il pullman, piazzato vicino alla micro-chiesa con una difficile manovra di parcheggio.
Gruppo Camminatori Strada Facendo – Pontecurone
29 giugno 2014