Ho conosciuto bene Ernesto alcuni anni fa quando lo intervistai ripetutamente, insieme ad altri pescatori, per documentarmi bene sull’antico e strettissimo legame Scrivia e castelnovesi al fine di scrivere un libro dedicato all’antica HIRA-Scrippia (libro pronto, con una ricca documentazione fotografica, ma che non ho più pubblicato). Non solo sapeva tutto sui pesci, le cozze, i gamberi di fiume. Mi ha spiegato nei dettagli le caratteristiche delle sabbie calcinose del Grue o della Scrivia; l’immensa superiorità delle ghiaie del nostro torrente rispetto a quelle di Po (aveva fatto a lungo il camionista per i fratelli Gavio); la fauna e le alluvioni del passato; i vecchi sistemi e attrezzature per la pesca; le erbe e i “buschi” da utilizzare; aneddoti sui carrettieri e sui loro segreti; come si facevano le “gabbionate”, e così via.
Di lui prima sapevo solo che era un tipo cordiale, privo di vanagloria e assai assennato nel raccontare e nel discutere.
Per me era “l’eroe” della alluvione del 1970, la più violenta che io ricordi a partire dal 1951. In realtà gli eroi quell’8 ottobre 1970 erano stati quattro, ma mi colpì soprattutto quello che Ernesto fece in una situazione di pericolo estremo. Allora aveva 45 anni, sposato con Giannina e padre di Daniela, Tiziana e Claudio.
Verso le 9,30 di mattino, dopo venti ore di pioggia violenta e continua su tutto l’Appennino ligure, era arrivata la prima ondata di piena e Gino De Faveri, un amico di Ernesto che lavorava con lo scavatore in mezzo a Scrivia, si trovò circondato dall’acqua. Alzata la benna vi era salito sopra chiedendo aiuto in mezzo a quel boato di acque vorticose.
Ernesto lo sentì e, chiesto aiuto ad Arduino Chioatto, salì sul suo barcé “Franco” (a ogni barca veniva dato un nome), costruitogli dal falegname Primo Bagnera, detto U gnegnu per la voce nasale. Era ormeggiato alla confluenza del Grue, poco prima del ponte, luogo a lui riservato poiché una dozzina di famiglie di pescatori aveva diritto, per antica tradizione, a un determinato punto di attracco.
Risalì con estrema fatica la riva destra per circa due chilometri e poi si lasciò andare verso il centro della corrente ove lo scavatore era ormai quasi completamente coperto. I due riuscirono a bloccare con una fune la barca e a far scendere De Faveri dalla benna per poi guadagnare la riva. Lo scavatore, ribaltato, verrà ricuperato quindici giorni dopo, duecento metri a valle.
Verso sera il livello dell’acqua raggiunse il suo culmine scavalcando addirittura il ponte ed ecco due tragedie, una ad Arquata dove il crollo di un ponte coinvolse il diciottenne Marco Odino, il cui corpo venne ritrovato quindici giorni dopo proprio dallo stesso Ernesto Lunasco in una curva del torrente, all’altezza della strada Infermera.
L’altra in prossimità delle case agricole verso Sale quando due auto vennero sommerse dalle acque di piena e Giovanni Gatti e Sergio Bellini riuscirono con l’aiuto di funi a salvare Anna Bisio, proprio mentre l’altra auto, con il conducente Federico Confalonieri, veniva spazzata via in seguito al cedimento della sede stradale che scomparve per un tratto di una settantina di metri. Di quest’ultimo episodio conservo memoria viva poiché in quel frangente mi trovavo a poche centinaia di metri di distanza.
Naturalmente l’Amministrazione comunale di cui facevo parte propose per Lunasco, Chioatto, Gatti e Bellini una medaglia al valore civile, che venne concessa dal Presidente della Repubblica e consegnata dal sindaco Mussio in occasione della festa di San Desiderio 1972.
Ernesto aveva nostalgia della Scrivia di un tempo e apprezzava gli sforzi che si facevano per ricuperarne almeno una piccola parte. L’età non gli consentiva di dare una mano, ma ora che il suo corpo si è fatto leggero chissà che non si aggiri tra il parco dei neonati e gli alberi dell’amore guardando una ravësa nella speranza di vedervi ancora degli stric in frega o un barcé che, a forza di braccia poderose, risale la corrente.
Antonello Brunetti