Ha raccontato la sua battaglia in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata: dalle Brigate Rosse a Cosa Nostra.
Procuratore a Palermo nel momento più critico dello Stato e della mafia, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio dove furono uccisi i giudici Falcone e Borsellino: Caselli chiese di andarli a sostituire quando tutti si rifiutavano di andare nella tana del leone.
Dal 1993 al 1999 ha indagato 90.000 persone, ha ottenuto esiti determinanti nei processi di mafia, 400 ergastoli, 10 mila miliardi di beni sequestrati, arresti di latitanti come Totò Riina.
A parlare della sua vita e del suo grande impegno contro la criminalità è stato il Generale Cravarezza, che ha introdotto l’incontro al Mater dei di fronte a tanti giovani interessati
Caselli ha parlato di legalità (“La legalità é un vantaggio, conviene perché ci guadagniamo in termini di qualità della vita”), corruzione (“La corruzione non è solo una violazione al codice penale ma anche impoverimento, qualcosa che ci viene portato via”) e mafia.
«Le mafie bloccano lo sviluppo economico del Mezzogiorno – ha detto -. Secondo il Censis a causa mafie ogni anno nel Mezzogiorno ci sono 7,5 miliardi di euro e 185 mila posti di lavoro regolari in meno 185. L’inoccupazione e la disoccupazione giovanile nel Sud sono moltiplicate per dieci. Sempre secondo il Censis senza mafie il pil pro capite del Mezzogiorno sarebbe identico a quello del centro nord. Mafia é impoverimento ed è presente anche al centro e al nord del nostro Paese. Più legalità e meno mafia conviene ovunque sul territorio nazionale».
L’ex procuratore ha affrontanto anche i temi della devianza giovanile, di giusta punizione ma anche di opportunità di recupero, di sovraffolamento delle carceri e di bullismo.
29 maggio 2014