La seconda trance dei bidoni del Cadano di Carbonara Scrivia, 28 anni dopo il ritrovamento, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, è sempre più grave: nel 2010 la Provincia aveva stanziato 196 mila euro ma questi soldi, a quanto pare, non sono stati ancora utilizzati. Lo dice il vicesindaco di Carbonara Scrivia Flaviano Gnudi, nella seconda lettera in redazione che Annamaria Agosti ci ha gentilmente inviato e che pubblichiamo di seguito insieme ad una vecchia foto in bianco e nero che documenta la situazione che venne alla luce nel 1986 insieme ad un lungo elenco di sostanze tossiche che vennero scoperte all’epoca, e che potrebbero essere le stesse che si trovano nei bidoni scoperti quattro anni fa nella stessa zona e che da allora giacciono probabilmente sotto il terreno.
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Quel greto, lungo lo Scrivia, lo dovrebbero vedere i ragazzi delle scuole. Noi, adulti maturi, lo guardiamo con l’amarezza di chi non si rassegna a questo scempi e non può fare altro che segnalare, condannare pubblicamente, condividere la consapevolezza dei pericoli. I politici possono imporsi e lottare, oppure rassegnarsi, lasciando scivolare la “patata bollente” nelle mani di chi verrà dopo. Qualcuno ci penserà.
I giovani, questo scempio, se lo sono trovato, gravosa eredità di quelle generazioni, che, per la maggior parte, se non erano inconsapevoli, erano colpevoli.
Cosa si poteva fare per evitare che succedesse? Non possiamo riavvolgere la bobina del tempo, ma dovremmo vivere come un imperativo morale l’insegnare ai ragazzi come fare l’inverso di quello che noi abbiamo, invece, permesso che accadesse.
I bidoni non si sono seppelliti lì da soli, qualcuno ce li ha portati. Qualcuno ha mandato i camion a scaricarli. Qualcuno ha visto, ha sentito, tutti sapevano. Nel fondo di quella collina di veleni c’è seppellita anche la coscienza, nera e sporca come catrame, di più di una persona.
Chi doveva sapere, non poteva “non sapere”. In quel tratto dello Scrivia la ex FIMU aveva un deposito scorie autorizzato (per le leggi dell’epoca, ovviamente) ma i prelievi di ghiaia, a quanto pare, non erano autorizzati.
Antonello Brunetti, storico ambientalista del nostro territorio, ritiene che il traffico dei bidoni sia iniziato attorno all’anno 1979, secondo un ben preciso schema operativo: il moltiplicarsi dei furti di ghiaia precedeva l’occultamento dei bidoni.
Su questi scavi e saccheggi sembra abbiano chiuso gli occhi tutti per molto tempo, senza (voler?) comprendere la vera portata del fenomeno. Le denunce da parte dei primi gruppi di ecologisti, nel principio degli anni ottanta, cadevano inascoltate.
Flaviano Gnudi, attuale Vicesindaco di Carbonara Scrivia ed accorto amministratore, la vicenda dei fusti tossici in località Cadano la conosce bene. Lui è uno di quei politici che continua a portare avanti, con fierezza, l’attenzione all’ambiente. Parlando dei bidoni, snocciola anche tanti altri argomenti ambientali, piccole e grandi criticità del suo territorio di cui c’è bisogno di tenere il polso della situazione .
« Sono in costante contatto con la Provincia su questo tema – dice Gnudi – per mantenere sempre alta l’attenzione riguardo l’area ancora da bonificare. Il sito di Carbonara è tenuto in seria considerazione, il problema più grosso è avere accesso ai fondi necessari per procedere nelle attività di smaltimento e recupero dell’area.»
La competenza territoriale è, infatti, del Comune di Carbonara. Così è previsto dalla legge: quando non si identificano i responsabili, le operazioni di recupero ed il relativo costo ricadono sull’ente locale. Però, nonostante le sollecitazioni di Gnudi, tutto è fermo dal 2010, quando la Provincia stanziò 196 mila euro per il Piano di Caratterizzazione. La progettazione degli interventi rappresenterebbe il passo successivo, secondo il protocollo da seguire per la bonifica dei siti contaminati.
« Ho ricevuto specifiche rassicurazioni riguardo la priorità – conclude Gnudi – bisogna però, nostro malgrado, attendere l’autorizzazione della Provincia, che, va detto, è peraltro assolutamente collaborativa. Purtroppo, con gli attuali vincoli del Patto di stabilità, anche se un Comune ha i conti in ordine e dispone di liquidità per realizzare gli interventi, non può farlo.»
Poco meno di 200mila euro per iniziare l’iter procedurale verso la bonifica, che una volta completata raggiungerebbe cifre a sei zeri. Già quattro anni fa si ipotizzavano costi per 15 milioni di euro.
A questo danno, prettamente economico, andrebbe aggiunto anche l’impatto sanitario da cause ambientali, che non è solo una componente aggiuntiva di costo. In più, oltre a chi paga in prima persona con morti e malattie, le bonifiche sono quasi sempre in forte ritardo per le lungaggini burocratiche e vincolate alla disponibilità dei fondi economici per la loro attuazione, ricadendo a carico di tutta la collettività, e, purtroppo, quasi mai addossate a chi ha determinato queste situazioni con responsabilità dirette, o indirette.
Annamaria Agosti
7 marzo 2014