Che tipo di atteggiamento teniamo, normalmente, nei confronti degli immigrati? Pensiamo che sono tutte brave persone? O tutti delinquenti? Per razzismo o per disinformazione, o nel caso opposto, per eccessivo buonismo, sta di fatto che agli occhi di certa gente basta vederne uno per inquadrarne cento. Ci sono persone che non solo offrono qualche moneta a queste persone, ma li ritengono, gentili nell’approccio, tanto da salutarli e interloquire con loro come con “vecchie conoscenze”. Poiché io appartengo a quest’ultimo insieme di cittadini, desidero raccontare una testimonianza raccolta quest’oggi, frutto del mio atteggiamento “conciliante” o, se permettete, civile.

immigrato - 2ILo incontro lì, accanto ai carrelli del discount, sempre sorridente, sempre gentile. Non sembra diverso da tanti altri immigrati, se non per quel suo augurio, molto particolare, che ti accompagna ogni volta che gli lasci la moneta del carrello. Ti sorride e ti ringrazia con quel calore che arriva da dentro, dal profondo, dalla riconoscenza di chi è costretto fare i conti con il centesimo a fine giornata. Non ha paccottiglia da venderti, non chiede l’elemosina con insistenza. Anzi, ha lo sguardo pieno di speranza per un futuro che, probabilmente, è ancora molto lontano da venire. Io lo chiamavo “l’uomo della buona sorte”, per quel saluto, molto particolare, che lancia al tuo indirizzo mentre raggiungi la tua vettura e te ne vai: “Che Dio ti benedica!”.

Il suo Dio probabilmente è diverso dal mio, però quell’augurio è sincero, e un Dio che esiste, anche con nomi diversi, non può rimanere insensibile a quelle parole sussurrate dall’anima, che passano dal suo sorriso e ti riscaldano il cuore.

Oggi ho chiacchierato con lui per qualche minuto. Si chiama Paul ed è un immigrato libico, di colore. Potrebbe comunque chiamarsi in tanti altri modi e provenire da tante altre realtà, perché (forse non ci soffermiamo troppo a pensarci) per salire su quelle “carrette del mare” di coraggio ce ne vuole, e tanto.

Quella di Paul è una storia d’immigrazione che può apparire singolare, oppure anonima, come tante altre, ma sta di fatto che la storia della società contemporanea passa, inevitabilmente, anche attraverso il fenomeno dell’emigrazione.

 

DALLA LIBIA A TORTONA COL RICORDO DELLA MOGLIE MORTA

Lui, in Libia, aveva una vita tranquilla, una casa e una famiglia. Lavorava, guadagnava, manteneva i suoi congiunti, senza patemi e senza problemi. Poi la guerra civile spazzò via tutto: lavoro, famiglia, quotidianità, e gli portò via anche la sua giovane e bella moglie.

Della sua sposa gli sono rimasti i ricordi di ciò che fu, un nome iscritto tra le vittime civili della rivolta, ed anche un bimbo che oggi ha cinque anni. La sua sembra, in fondo, una storia come tante, di chi arriva in Italia con un viaggio nel quale ti imbarchi insieme ad una speranza figlia della disperazione, ma, di fatto, non sai se arriverai vivo, all’altra sponda.

Si ritiene fortunato ad essere uno dei sopravvissuti a quei barconi che impiegano tre giorni ad attraversare il Mediterraneo, con un viaggio che non si racconta, ma che nemmeno si dimentica. Sono tanti, i migranti che, in quel mare, ci muoiono. E in Libia, dove vengono imbarcati, lo sanno.

Lui è arrivato vivo, è riuscito ad ottenere i documenti regolari, dopo essere scampato alle orribili persecuzioni a sfondo razziale, perpetrate sulle popolazioni libiche di colore da parte di quelle milizie che oggi si arricchiscono con il traffico di esseri umani verso le coste italiane.

Mentre si offre, spontaneamente, di aiutarmi a caricare la spesa in macchina, in risposta alla mia domanda “Come ti va?”, dopo un momento di ritrosia iniziale decide di fidarsi di me, mi affida i suoi ricordi, poi sfila dalla tasca vicino al cuore le due cose più care che gli sono rimaste: il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e la fotografia di suo figlio.

Paul ha le mani ruvide di calli che raccontano di lavori pesanti, di chi non si è mai tirato indietro di fronte alla fatica. Eppure adesso, con la crisi, anche i lavori più gravosi scarseggiano, non basta più la buona volontà. Lui non ha accettato, come tanti hanno fatto, di entrare in quel giro fatto di fazzoletti ed accendini, o peggio, di abbigliamento contraffatto. Vuole rimanere nell’onestà e nella rettitudine di un cuore puro. Un cuore di papà che oggi era raggiante per aver ottenuto una biciclettina da donare al suo bambino.

Questo giovane uomo ti accoglie con un sorriso quando entri al market, e con lo stesso sorriso ti saluta quando ne esci. Monetina donata o no, lui non vende, non elemosina. Lui regala, a tutti indistintamente, la serenità che lo sostiene, la fiducia incrollabile di chi, nonostante abbia perso tutto, sa che, un giorno, tutto può cambiare.

Caro Paul, dopo aver conosciuto la tua storia, questa volta è dal mio cuore che sgorga un augurio: “Che Dio ti aiuti!”.

 Lettera firmata