Danilo Arona, nasce nel 1950 è giornalista, scrittore, musicista, ma anche ricercatore sul campo di “storie ai confini della realtà”, critico cinematografico e letterario e instancabile “nomade” editoriale. Al suo attivo, un incalcolabile numero di articoli disseminati qua e là tra giornali locali, riviste varie e saggi sul Lato Oscuro della Realtà. Da anni si dedica stabilmente alla narrativa, elaborando un personale concetto di horror italiano, legato alle paure del territorio, forse in grado di dimostrare che la nostra solare penisola è uno dei più vasti contenitori mitologici del pianeta: ormai decine sono i titoli dei suoi romanzi, che si possono visionare alla sezione “Libri”. Nel campo della narrativa breve, numerosissime sono le sue partecipazioni alle più prestigiose, e innovative, antologie degli ultimi anni. E suoi interventi sono reperibili in diversi lavori critici a più mani quali “Note di paura” (Granata Press), “La congiura degli Hitchcockiani” (Falsopiano), “L’esorcista – 25 anni dopo” di Daniela Catelli (PuntoZero), “Il cinema degli alieni” di Roy Menarini (Falsopiano), “2001 odissea dell’uomo” (Besa), “Le nuove leggende metropolitane” (Avverbi) e “Contact!. Tutti i film su UFO e alieni” (Corrado Tedeschi Editore). Collabora, quando può, alle riviste online “Carmilla” diretta da Valerio Evangelisti e a “Horror.IT” di Andrea G. Colombo. E’ stato membro, con Marco Tropea e Laura Grimaldi, del Comitato Scientifico di “ChiaroScuro – Tutti i colori del libro”, il primo festival di letteratura italiano che si è tenuto per sette indimenticabili anni in Asti, ed è oggi parte attiva dell’iniziativa alessandrina Equi-Libri, rassegna multimediale e itinerante di musica, libri e altro, coordinata da Enzo Macrì e Angelo Marenzana. Ulteriori informazioni nel suo sito: http://www.daniloarona.com/
Lo abbiamo incontrato per un intervista, queste le sue risposte alle nostre domande:
Chi è cosa fa nella vita e dove vive Danilo Arona?
Danilo Arona è un curioso inguaribile che fa l’unico mestiere ancora praticabile, chissà per quanto, in Alessandria, ovvero il commerciante. In questa città sono nato 64 anni fa e non me ne sono mai andato, neppure quando mi hanno offerto valide ragioni per farlo. Vivo per forza in città dove gestisco l’attività, ma il mio domicilio è nella campagna attorno a Portanova di Casalcermelli.
Chi è per te uno scrittore e come pensi venga visto dalla gente?
La scrittura dovrebbe essere un “altro” mestiere anche se non ti fornisce vitto e alloggio. Come mestiere, lo garantisce uno con 40 titoli sul groppone, è duro e massacrante, e richiede metodo e disciplina. La gente alessandrina, fatte le debite eccezioni, ti vede come un alieno perditempo. Il noto pragmatismo mandrogno…
Com’è nata in te la passione per la scrittura e cosa provi quando scrivi?
La passione nasce dal cinema. Sin da piccolo vedevo storie sullo schermo che mi sarebbe piaciuto modificare. Appena alfabetizzato, ho cominciato a sperimentare e, forse, ancora lo faccio. Cosa provo? Mah, ormai più nulla. Un po’ di solitaria autogratificazione se un pezzo o un racconto mi vengono bene. Ma me la canto da solo. Così dev’essere.
Come nasce quello che scrivi e su cosa ti piace scrivere in particolare?
Scrivo thriller di confine, tra il metafisico e il realistico. Qualcuno lo chiama horror. Personalmente le definizioni non mi piacciono. La maggior parte delle idee arrivano dalla cronaca. Il quotidiano, citando Charles Fort, è una fucina inesauribile di spunti fantastici. Mi piace scrivere di fantasmi. Quasi tutti ne vedono, ma pochissimi ne parlano in giro. Anche perché neppure se ne accorgono.
Hai scritto tra gli altri, Vento Bastardo, L’Autunno di Montebuio, Morbo Veneziano, Ritorno a Bassavilla e Protocollo Stonehenge, ce ne vuoi parlare?
Ognuno dei titoli citati è diverso dall’altro. In ogni caso, con potente sintesi: “Vento bastardo” è un’antologia personale il cui tema di fondo è proprio il vento letto come un’entità nociva e quasi soprannaturale; “L’autunno di Montebuio”, scritto con la collaborazione della giovane e bravissima Micol Des Gouges, è un ricordo in chiave horror della crisi di Cuba del ’62 e dell’effetto terrifico che sortì sui bambini di allora; “Morbo Veneziano” è una graphic novel ambientata a Venezia con tanto di mostri mutaforma che guizzano per i canali; “Ritorno a Bassavilla” è una raccolta di istantanee su una Alessandria sotterranea ed esoterica; infine, “Protocollo Stonehenge”, scritto assieme all’amico Edoardo Rosati, affronta uno dei miei temi ricorrenti, il fantasma dell’autostrada Melissa e la sua maledizione a cadenza annuale che pretende giovani vittime, fulminate nel letto di casa, in provincia di Padova.
Nel 2013 hai pubblicato “Io sono le voci” un libro sugli omicidi inspiegabili, ce ne vuoi parlare?
Naturalmente è tutto inventato anche se gli omicidi inspiegabili in Italia non mancano. Ho immaginato più generazioni di serial killer, in azione dagli anni ’60 a oggi, che ammazzano per riprodurre scene famose di autentici film thriller. Il libro è quello che definiresti un “giallo”, anche se è molto sui generis. Forse è verosimile, chi lo sa? In ogni caso un dato è certo: chi vuol capirne deve conoscere molto bene la storia del cinema.
Stai già scrivendo il tuo prossimo romanzo, ce ne puoi parlare?
No, per fortuna non sto scrivendo. Voglio riposare la mente. Ho scritto troppo.
Tu hai un sito internet, ma collabori anche con altri?
Collaboro con chi me lo chiede e con chi apprezza il mio lavoro. Tra gli altri: CorriereAl, Horror.IT, Carmillaonline, Cabiria.
Quali sono i tuoi scrittori preferiti?
Tanti: King, Sergio Altieri, Jean-Christophe Grangé, Eraldo Baldini… ma non voglio fare elenchi perché mi dimentico qualcuno di sicuro. Ma non si possono dimenticare i “formativi”: Poe, Lovecraft, Bradbury, Matheson.
Come vedi il presente e il futuro della cultura nel nostro paese?
Che dirti? La vedo male. Siamo sul crinale dell’imbarbarimento. Mi auguro che passi questa maledetta crisi perché, se chiudono teatri e librerie, non è certo rimpiazzandoli con centri commerciali e cineserie che si fa il bene collettivo. Bisognerebbe capire in che modo si possa far amare la cultura in genere alle generazioni più giovani. E’ una questione spinosa e difficilissima da sciogliere.
Un scrittore come immagina la politica e che cosa vorresti chiedere ai politici?
Presumo che non c’entri nulla praticare la scrittura. I have a dream, citando Luther King. Ma è il sogno di tutta la gente onesta. La politica come servizio reale e possibilmente non retribuita con stipendi da nababbi. Perché troppo denaro corrompe.
Qual è la tua opinione sulla situazione di Alessandria?
Tutti i giorni tiro su la mia serranda alle 8,50 e nel mio piccolissimo rilancio Alessandria. Non vado alla ricerca di colpevoli né attribuisco colpe a chi oggi amministra la res publica. Ognuno dovrebbe prendersi le sue responsabilità ma, essendo il microcosmo alessandrino lo specchio del macrocosmo italiano, ecco che pure qui bisogna subire il gioco dello scaricabarile. Che non mi piace, e penso piaccia a pochi. Peraltro quel che sul serio mi offende, perché ci ho lavorato per anni con sincera dedizione, è la visione del Teatro Comunale chiuso e abbandonato per un demenziale mix di motivazioni a dir poco sconcertanti. In questo caso sul serio chi ha sbagliato dovrebbe pagare. Con supplemento metaforico di sale marino integrale sulle piante nude dei piedi.
Che consigli ti senti di dare ai giovani che iniziano a scrivere?
Nessun consiglio. O meglio, scrivi solo se ti diverte il farlo. E se ti arricchisce. Dal punto di vista intellettuale e spirituale, va da sé. Per tutto il resto, ogni carriera in letteratura è diversa dall’altra. Dar consigli in merito è un atto di presunzione infinita.
Programmi per il futuro e sogni nel cassetto?
Ma figurati. Alla mia età si vive alla giornata. E non possiedo più cassetti perché ho venduto i mobili… Scherzi a parte, mi concentro al momento sulla coppia letteraria Rosati / Arona perché è l’unica faccenda che attualmente mi stimola. L’autore “solista” deve prendersi un periodo sabbatico per meditare e ripensarsi. Ho scritto tanto, ma continuo a essere un autore, benvoluto per carità, ma di nicchia. E, dopo un po’, la nicchia va stretta. Perché ti costringe a interrogarti sul rapporto tra la mostruosa durezza del lavoro produttivo e l’esiguo zoccolo duro dei tuoi cosiddetti followers. Comunque, da buon improvvisatore musicale, oggi la penso così, ma domani chissà… la musica di sicuro cambia.
Pier Carlo Lava
12 febbraio 2014