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LETTERE IN REDAZIONE: Ma come parlano i giornalisti italiani inviati in giro per il mondo?

Addio al parlar corretto! Chi ha nascosto la lingua di Dante? Quanta delusione ascoltare i commentatori, gli inviati speciali di lingua madre italiana nei vari Paesi del mondo. Il loro linguaggio rispecchia la realtà di oggi, senza certezze

I nostri commentatori, infatti, dimostrano di aver dimenticato i contenuti della grammatica, del vocabolario della lingua italiana, quali documenti sacri per esprimere correttamente i pensieri, scritti attraverso le espressioni dei nostri maggiori Autori. A cosa servono il vocabolario, la grammatica; poi la fonetica attenta alla pronuncia, la morfologia dedita alle parti del discorso, la sintassi propensa ad ordinare, congiungere ogni elemento del pensiero? E, via di questo passo!

Questi inviati sono eccellenti parlatori, ignari delle regole più elementari, meno che mai hanno l’umiltà di consultare, almeno una volta tanto, uno di questi preziosi scrigni in cui sono contenute le giuste regole, le parole adatte ad ogni circostanza.

Si esprimono con tanti termini per commentare l’evento più banale, parlando, riparlando sui contenuti, frammisti a noiosi aggettivi, avverbi, congiunzioni in quantità prima di concludere con un senso compiuto l’intervento. Sono frasi dette e ridette con tanti luoghi comuni, ripetuti sino alla nausea senza il minimo rispetto per gl’uditori attenti.

Sarebbe necessario per tutti rivedere le regole principali della nostra lingua, a maggior ragione è dovere per chi professionalmente lavora con le parole.

È, per questi, proprio impresa impossibile, ritenuta inutile perdita di tempo; del resto è considerato obsoleto, fors’anche disdicevole ripassare le raffinatezze dei singoli meravigliosi termini, con le loro sfumature da coordinare con le basi di ogni lingua, a maggior ragione quella italiana, la nostra lingua, apprezzata da molti studiosi stranieri, bistrattata da noi italiani.

Se davvero ci fosse un po’ d’attenzione non si dovrebbe confonder interrogatorio, usato nel senso di dubbio, con interrogativo quando l’autorità giudiziaria, nella sospetta frase, proprio nulla c‘entra così, com’è successo durante il TG1 delle ore 8 di lunedì 22 luglio. E non è la prima volta, non sarà neppure l’ultima?!?

Gli autorevoli commentatori usano magnificamente le doppie, quando il bel parlare preferisce una sola consonante, così come in reggione, meglio ancora il prezioso zubbito in luogo di subito, più volte affermato durante la permanenza di Papa Francesco in Brasile.

Come sono fantastici quei .. molto peggiore … più migliore .. spiattellati da redattori ritenuti fra i più abili; insistentemente incollati su altrettanti anche preceduti dall’immancabile ma…; che dire del continuo disturbo all’avverbio di tempo allora … detto, ripetuto alla nausea, persino “fatto proprio” dalla concorrenza televisiva.

Inorridirebbero, se mai tornassero su questa terra i maggiori scrittori, intanto si volteranno, rivolteranno nella tomba al suono incessante dei termini stranieri, per un verso o l’altro sempre più diffusi.

Lettera firmata



 28 luglio 2013

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