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TORTONA: La città ha ricordato Don Mario Picchi, suo figlio illustre

La città ha ricordato il suo figlio illustre, Don Mario Picchi. Lo ha fatto sabato in due momenti: con una conferenza pubblica sabato mattina alla presenza dei giovani del Liceo “Giuseppe Peano” (di cui parliamo a parte) con il vicesindaco, Carlo Galuppo, l’assessore ai Servizi Sociali, Laura Castellano e con la premiazione del “Grosso d’oro” avvenuta sabato sera al teatro Civico

 

LA STORIA DI DON MARIO PICCHI

Mario Picchi

Don Mario Picchi, fondatore e presidente del Centro Italiano di Solidarietà (CeIS), è nato a Pavia nel 1930. Ordinato sacerdote nel 1957 a Tortona, dove ha vissuto la sua infanzia e adolescenza con i genitori e quattro fratelli, esercitò la sua missione per 10 anni ancora in Piemonte, in particolare come viceparroco di Pontecurone, il paese di San Luigi Orione, per essere poi chiamato a Roma, nel 1967, con l’incarico di cappellano del lavoro presso la Pontificia Opera di Assistenza.

Nel 1968, occupandosi di ferrovieri e dei loro figli, con grande attenzione ai problemi dei giovani, cominciò a riunire e ad animare i primi gruppi di volontariato, creando una prima associazione denominata Centro Internazionale di Solidarietà. Attraverso azioni di sensibilizzazione si cercava di attirare l’attenzione della pubblica opinione su problemi nazionali e internazionali. Un primo risultato fu una raccolta di denaro inviato in Nigeria alle popolazioni in grave difficoltà negli anni della sanguinosa guerra del Biafra.

Da quelle iniziative prese corpo il Centro Italiano di Solidarietà (CeIS di Roma), al quale, da allora, dedicò tutto il suo tempo e tutte le proprie energie. Il CeIS si costituì legalmente come libera associazione nel 1971 e don Mario Picchi trovò aiuto nel pontefice Paolo VI, che gli offrì un appartamento in un palazzo di proprietà del Vaticano, in piazza Benedetto Cairoli, nella zona di Campo di Fiori, nel cuore di Roma. Si chiuse così il periodo della vita in strada, della ricerca affannosa di un alloggio giorno dopo giorno e notte dopo notte: ma di quel primo periodo restava la porta del CeIS aperta sulla strada e disponibile ad accogliere chiunque fosse in difficoltà e avesse bisogno di un aiuto, morale e spirituale, ma anche economico e concreto, un piatto caldo o un letto dove riposare.

L’intuizione di don Mario e dei suoi collaboratori fu duplice. Sul piano concettuale, capire – e poi trasmettere tale convinzione – che l’attenzione doveva essere posta sulla persona e non sulle droghe. E’ la persona dunque che ha bisogno di riscoprire i propri valori, di ritrovare la voglia di vivere, di un cammino interiore, opportunamente accompagnato da operatori preparati, per abbandonare la droga. Sul piano pratico, il CeIS guardò con interesse a quanto si era realizzato in quei Paesi in cui l’emergenza droga, e l’eroina in particolare, si erano diffuse prima che in Italia. Partecipando a convegni internazionali e a viaggi di studio, don Picchi si rese conto che una risposta importante e foriera di successi era la comunità terapeutica residenziale, indicata fin dall’inizio non come una panacea o una soluzione buona per chiunque, ma certo come una struttura di contenimento in cui la vita in comune, la possibilità del confronto quotidiano con gli altri e con le proprie responsabilità, le dinamiche dell’auto-aiuto e i vari strumenti pedagogici e terapeutici messi in campo erano in grado di allontanare i giovani dalla tossicodipendenza.

Nasceva così, e a poco a poco andava sviluppandosi, un progetto per una nuova cultura della vita, articolato in diversi programmi educativi e terapeutici, la cui filosofia di riferimento è stata chiamata Progetto Uomo.

Le due parole, Progetto e Uomo, esprimono l’essenziale: l’impegno a considerare la persona come il centro della storia, una storia aperta al futuro e sempre più umanizzata. L’uomo nella sua piena dignità, prescindendo dalla sua razza, religione, cultura, livello sociale, possibilità economiche e potere politico. In questa ottica Progetto Uomo vuole essere una proposta di interscambio e dialogo, iniziando dalla possibilità di guardare in se stessi, di fermarsi per analizzare l’origine del proprio disagio, per poi comunicarlo e condividerlo con gli altri.

La volontà di creare autonomie e non dipendenze ha spinto il CeIS a sviluppare un sistema di servizi aperto, un movimento di idee e proposte più che una organizzazione rigida.

La consapevolezza delle differenze culturali ha suggerito inoltre la ricerca di collaborazione con altre organizzazioni, invece che produrre un modello da esportare in altre città e nazioni. Questo processo fu messo in atto tramite la Scuola di Formazione del CeIS dove sono stati formati operatori provenienti da molti paesi. Sono nati così Programmi, Associazioni, Federazioni in Italia, Spagna e in molti altri paesi dove a tutt’oggi, con le dovute e necessarie elaborazioni, vengono applicati metodologie e strumenti del Progetto Uomo. Tutte queste organizzazioni sono assolutamente autonome dal punto di vista operativo, amministrativo e giuridico e offrono servizi diversi in base alle esigenze delle aree geografiche in cui operano.

“Viviamo tutti i giorni con un senso di sbandamento, con un senso di negatività che ci arriva da più parti – ha dichiarato l’assessore ai Servizi Sociali, Laura Castellano -, ma le cose buone ci sono. Ritengo che questo sia l’inizio di un percorso e chiedo al presidente e al vicepresidente la collaborazione per portare avanti questo progetto anche nella nostra comunità”.

 5 maggio 2013

 

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