Il Comitato volontari a sostegno dei migranti e rifugiati di Castelnuovo Scrivia e lo Sportello rifugiati di Alessandria sollevano il problema dei 40 rifiugiati tuinisni che vivono a castelnuovo e chiedono un incontro con il Prefetto Romilda Tafuri per risolvere la questione. Lo hanno fatto con una lettera inviata allo stesso prefetto, di cui riportiamo integralmente il testo.
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Siamo operatori del volontariato, associazioni e singoli individui, impegnati da anni sulle tematiche e sui disagi dell’immigrazione. Negli ultimi diciotto mesi abbiamo partecipato, attraverso mediazione, aiuti, assistenza, al progetto di gestione dei rifugiati della cosiddetta “emergenza Nord Africa”, ospitati presso la Casa Don Orione di Castelnuovo Scrivia, gestita dalla cooperativa Bios.
A Castelnuovo Scrivia il rapporto rifugiati – popolazione residente è tra i più alti del Piemonte: 40 rifugiati su una popolazione appena superiore ai 5 mila abitanti.
Per un anno e mezzo i rifugiati di Castelnuovo Scrivia sono stati inseriti all’interno del tessuto sociale, il disagio è stato arginato e le situazioni più conflittuali contenute. Tutto questo grazie a numerose iniziative che hanno attinto energie anche dal mondo del volontariato: corsi di avvicinamento alla lingua italiana, assistenza psicologica (particolarmente necessaria per chi vive il doppio disagio dello sradicamento culturale e della tormentata provenienza da zone di guerra), organizzazione di spazi e momenti ricreativi. Il Comune, per parte sua, si è attivato con sensibilità e costanza per risolvere gli infiniti problemi che nascono da una convivenza forzosa, i responsabili della cooperativa Bios, che gestisce la struttura, si sono fatti carico di utilizzare i fondi messi a disposizione dal Ministero per garantire a tutti gli ospiti vitto, alloggio e assistenza primaria.
Resta il fatto che nessuno, a livello istituzionale, ha controllato che ai richiedenti asilo (oggi in possesso di permesso umanitario o sussidiario) fosse garantito qualcosa di più di un pasto caldo e di un letto per dormire: è venuto del tutto a mancare un percorso di inserimento nel tessuto sociale che tenesse in particolare conto il bisogno di avvicinare i richiedenti asilo al mondo lavorativo o, in alternativa, di assecondare dignitosamente la loro richiesta di trovare lavoro in altri paesi europei.
A neppure due mesi dalla scadenza del 28 febbraio 2013, termine ultimo del progetto “emergenza Nord Africa”, di fronte alla prospettiva di chiusura della struttura ospitante, senza alternative di percorsi d’inserimento abitativo e lavorativo, c’è il rischio del rinnovarsi di pericolose esplosioni di protesta (che peraltro ci sono già state): occorre tenere presente il particolare stato d’animo di chi, costretto ad abbandonare per varie ragioni il proprio paese d’origine, si è trovato in una Libia che nel giro di qualche mese si è repentinamente trasformata da paese che garantiva lavoro, un po’ di benessere, in una “tomba” sicura per chi avesse la pelle troppo scura e non fosse in grado di dimostrare di non essere “mercenario di Gheddafi”.
Lo sbarco sulle nostre coste ha garantito loro per diciotto mesi la sopravvivenza materiale, un rifugio e, conformemente alle nostre leggi, a quelle europee e ai dettami della nostra Costituzione, il permesso umanitario o sussidiario o d’asilo, con tutti i diritti conseguenti.
D’improvviso, però, in assenza, come si diceva, di un percorso integrativo di sostegno e d’inserimento, l’«exit-strategy graduale» di cui parlava il Ministro dell’Interno sembra essersi concretizzata esclusivamente nella concessione automatica del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie e si vorrebbe che queste persone togliessero il disturbo e si disperdessero senza fiatare.
Ovvio che si sentano abbandonati e che siano destinati, nella maggior parte dei casi, a scivolare nel mondo della criminalità o a ingrossare le fila di chi chiede la carità fuori dai centri commerciali.
LE RICHIESTE
Di qui alcune richieste, semplici e precise, che sappiamo accomunano tutte le realtà dell’“emergenza Nord Africa”:
un titolo di viaggio che spetta ai sensi dell’art. 35, u.c. D. lgs. 251 del 2007, laddove si parifica l’umanitario al permesso sussidiario; la carta d’identità da parte del Comune di Castelnuovo Scrivia (o dei comuni limitrofi della Bassa Valle Scrivia, che è opportuno siano finalmente coinvolti in questa emergenza), così come è avvenuto per altre realtà.
ricordiamo che queste persone, per oltre un anno e mezzo, hanno svolto piccoli lavori per il Comune di Castelnuovo e sono stati ospitati nella struttura all’interno del Comune;
un contributo economico che permetta loro di far fronte alle prime spese di sostentamento
una volta abbandonata la struttura ospitante.
La soluzione di questi problemi richiede un approccio politico, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate.
Sappiamo che nei prossimi giorni ci sarà un ennesimo tavolo in prefettura per discutere di questi problemi.
Chiediamo che, oltre agli Enti locali, alle cooperative e agli altri gestori, siano coinvolte anche rappresentanze dei diretti interessati, insieme alle associazioni di volontariato che si occupano di migranti e rifugiati.
È nell’interesse di tutti evitare che si arrivi allo scontro aperto o ad episodi di violenza; il coinvolgimento dei diretti interessati e degli attori che, a qualche titolo, hanno seguito l’evolversi della situazione può in questo senso contribuire alla ricerca di soluzioni ampiamente condivise, soluzioni cui non sembra si stia giungendo a seguito del percorso avviato a livello istituzionale.
Lo ricordiamo: a Castelnuovo Scrivia non si è ancora conclusa la vertenza degli ex braccianti dell’azienda agricola “Bruno Lazzaro”; non vorremmo ritrovarci ad affrontare problematiche simili attraverso interventi traumatici e non condivisi.
15 gennaio 2013