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LETTERE IN REDAZIONE: Rischio amianto, fuori da Casale è ancora sconosciuto

Meritava più pubblico e una maggiore presenza di giovani l’incontro di giovedì sera – tenutosi in Alessandria nella sede di “Cultura e Sviluppo” – dedicato all’amianto e alle conseguenze della presenza dell’Eternit a Casale Monferrato: “la fabbrica della morte”. Soprattutto per la qualità e la passione dei relatori: i giornalisti-scrittori Silvana Mossano de “La Stampa” e Giampiero Rossi, per molti anni cronista de “L’Unità”, e del professore dell’Università di Torino Benedetto Terracini, tra i primi scienziati a studiare l’epidemia dei tumori dovuti all’amianto.

La cronista casalese de “La Stampa” ha iniziato a scrivere sui casi di “mesotelioma” nei primi anni ’80, ma ha pubblicato il libro “Malapolvere” solo sul finire del 2010 “perché – ha confessato – avevo difficoltà a trovare il linguaggio giusto, quello più adeguato a rappresentare il dolore degli abitanti di Casale, rispettoso dei singoli e differenti casi delle vittime dell’amianto e delle loro famiglie”. Silvana Mossano all’inizio del suo intervento ha evidenziato come – nonostante il clamore suscitato dall’esito del processo di Torino che ha condannato in primo grado a 16 anni per disastro ambientale e inosservanza delle norme sulla sicurezza i due proprietari della multinazionale svizzera – il tema dell’amianto, fuori dalla città di Casale, continui a risultare “sconosciuto”. E ciò nonostante i 1450 nuovi casi di mesotelioma che si registrano ogni anno in Italia, insieme ai 50 casi di Casale. Devo dire che condivido questa valutazione, quasi che l’amianto non sia tuttora presente e visibile in tutte le città, ma riguardi solo la realtà del casalese.

Certo è che tutte le volte che in questi anni mi sono recato nel centro zona del Monferrato per partecipare a riunioni, convegni e iniziative legate alla vicenda Eternit ho avvertito il clima incombente della presenza della tragedia. E’ una sensazione carica di incertezza per il futuro che si prova solo qui. La positività della lotta che continua e la richiesta di giustizia nei confronti dei responsabili Eternit, ha presto finito d’essere solo una vertenza sindacale per trasformarsi in una battaglia civile nella quale si è riconosciuta l’intera città. Una comunità che in assenza di questo comune obiettivo, sotto l’incombenza e il peso dei tanti, troppi lutti, poteva rischiare di chiudersi, avvitarsi nelle singole depressioni e vivere una difficile condizione fatta di costante incertezza. E ha trovato invece il coraggio di reagire. Così è capitato che in assemblea qualche nuovo ammalato abbia preso la parola per comunicare pubblicamente la sua amara scoperta, trovando nella comprensione degli altri la voglia di continuare a lottare. Anche a Romana Blasotti Pavesi, la presidente dell’Associazione dei famigliari vittime dell’amianto, ha scelto di leggere in pubblico la lettera della figlia Maria Rosa che denunciava con semplicità e indignazione la sua malattia.

Silvana Mossano – che scrivendo ogni giorno sulle pagine del quotidiano torinese ha avuto un ruolo importante nel convincere l’Amministrazione comunale a non accettare l’umiliante “offerta del diavolo”, avanzata dai padroni di Eternit per comprare il silenzio della città e impedirne la costituzione di parte civile nel processo – nel concludere il suo intervento ha sottolineato l’importanza della bonifica e della ricerca. Sostenendo nei confronti delle diverse iniziative che si occupano di quest’ultimo aspetto la necessità di un maggiore coordinamento, perché gli abitanti di Casale: “hanno soprattutto bisogno di una concreta speranza e di poter credere che un giorno dal mesotelioma si potrà guarire.”

Gianpiero Rossi che, coinvolto dai segretari della Camera del Lavoro e dall’Inca di Casale Bruno Pesce e Nicola Pondrano ha tra i primi raccontato la storia e la tragedia dell’Eternit e pubblicato nel 2008 “La lana della salamandra” – un libro in allora allegato all’Unità e tradotto in Brasile, Spagna, Messico e Francia – ha parlato delle vicende di Casale come di una grande storia, di una “epopea” osservata fuori Italia con ammirazione e rispetto e, soprattutto dopo la sentenza di Torino, conosciuta in mezzo mondo. Più di recente il giornalista ha seguito e indagato gli atti del “processo del secolo” sino alla storica sentenza del 13 febbraio di quest’anno a Torino e dato alle stampe “Amianto: processo alle fabbriche della morte.” Nel testo, in particolare, sono riportati i documenti e i carteggi riservati dell’azienda – trovati e portati alla luce dal Procuratore Guariniello – che dimostrano come la dirigenza e la proprietà di Eternit fossero da anni pienamente a conoscenza dei rischi e delle mortali conseguenze dell’amianto. E si adoprassero attivamente per fare contro informazione affinché i gravi fatti che stavano emergendo a Casale non trapelassero “diventando un caso nazionale.” Rossi ha anche ricordato come tappe fondamentali nella straordinaria vicenda di Casale la coraggiosa decisione del sindaco Coppo di impedire la produzione di amianto nel comune e le conclusioni del Convegno del febbraio 1989, tenutosi al cinema Politeama con il titolo “No all’amianto.”

Ricordo molto bene quell’incontro pubblico, la grande partecipazione, la tensione della relazione, degli interventi e l’attenzione con la quale erano seguiti. Ho presente, fra i molti, quello di Bianca Guidetti Serra, avvocato torinese tra i primi ad occuparsi, con Sergio Bonetto e Oberdan Forlenza, del sostegno legale alla vertenza. Ma sono le conclusioni di Fausto Vigevani, Segretario Confederale della Cgil, che, nell’assumere e mettere in valore i contenuti della lotta sindacale – come ebbe a dire “di questa piccola Camera del Lavoro” – li fece diventare la piattaforma nazionale del sindacato. Questa conteneva la messa al bando dell’amianto in tutto il Paese e la conquista di nuove tutele per i lavoratori esposti. Nell’agosto dell’89 Vigevani mantenne l’impegno e le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil presentarono le richieste al governo. Il Parlamento nel 1992 le tramutò in legge: una delle più avanzate al mondo in tema di amianto.

 

Il professor Terracini ha esordito ricordando come un primo processo sui temi legati all’amianto sia stato celebrato a Torino, addirittura, nel 1906. Nell’occasione la British Asbestos Company, che aveva citato in giudizio un giornalista del Canavese il quale l’aveva denunciata come responsabile delle morti delle lavoratrici tessili della fabbrica, fu condannata. Per il noto epidemiologo in situazioni come l’Eternit o, ai giorni nostri, l’Ilva di Taranto, insieme ai proprietari anche i consulenti delle aziende rivestono gravi responsabilità, sovente poco autonomi e indipendenti se non “al soldo dei padroni”. E le “lezioni tardive da segnali precoci”, drammaticamente presenti nel caso amianto, oggi si ripropongono con le sottovalutazioni e i ritardi nei confronti del riscaldamento globale e dell’inquinamento dell’aria da polveri sottili. Fenomeno, quest’ultimo, che nel nostro paese causa “almeno diecimila decessi l’anno.”

Terracini – che fa parte del gruppo di esperti che attualmente è impegnato con il Ministero della Salute al coordinamento della ricerca e al piano nazionale della bonifica – ha infine evidenziato come il clamore suscitato a livello internazionale delle condanne dei proprietari della multinazionale svizzera derivi dal fatto che l’amianto viene ancora prodotto e commercializzato in molte nazioni: Indonesia, Cina, India, Russia, Messico e anche Canada che, pilatescamente, ne vieta l’impiego interno. Così capita che nello Stato di San Paolo del Brasile – dove si è deciso di vietato l’amianto e dove, non a caso, l’esperienza di Casale è conosciuta e ha fatto scuola – sia in atto una forte campagna per impedire che tale decisione venga estesa alle altre regioni e, anzi: “si mettono in campo pressioni nei confronti del governo perché si torni indietro.”

 

Insomma la difficile battaglia per fuoriuscire dal rischio amianto è ancora lunga, irta di ostacoli e anche in Italia gli interventi nei campi della bonifica e della ricerca hanno bisogno di maggiore impegno, più determinazione e nuove risorse. E la straordinaria e civile lotta della gente di Casale Monferrato, che si è guadagnata rispetto e ammirazione a livello internazionale, ha ancora molto da insegnare anche nel nostro Paese.

Renzo Penna



 16 dicembre 2012

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