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TORTONA: In città mancano luoghi per assistere i malati dimessi dall’ospedale o che soffrono di malattie croniche

Si chiama “Continuità Assistenziale” ed è la nuova forma di aiuto  per i malati appena dimessi dall’ospedale o che hanno bisogno di cure per malattie croniche. Fino a qualche anno fa, queste persone venivano ricoverate in ospedale; adesso non si può più. Cosa fare allora?

Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Maria Cristina Ottone che oltre ad essere uno stimato medico in servizio presso l’ospedale di Tortona, è anche consigliere comunale, quindi conosce profondamente la realtà tortonese sotto diversi aspetti.

 

Che cosa sta cambiando nella Sanità in generale e nel tortonese in particolare?

In tempi in cui l’ospedale è soprattutto per acuti e la vita media si allunga progressivamente, sempre più numerosi sono i pazienti anziani che soffrono di patologie acute – fratture di femore o vertebrali in primis – e di patologie croniche, cardiorespiratorie soprattutto, sempre più invalidanti e con riacutizzazioni.

Il quadro clinico acuto richiede una elevata intensità di cura per cui è necessario il ricovero in ospedale, che deve però essere contenuto in un lasso di tempo il più limitato possibile; quando il paziente viene dimesso cominciano i veri problemi perché questo periodo di recupero richiede non più una elevata intensità di cure, ma una elevata intensità di assistenza, cosa che le famiglie non sempre sono in grado di sostenere sia dal punto di vista economico che organizzativo; iniziano così le difficoltà di gestione del paziente, ancor più gravi oggi perché nel nostro Distretto Sanitario sono stati soppressi i posti letto di continuità assistenziale che permettevano una miglior assistenza del paziente con un temporaneo ricovero nelle nostre case di riposo dove, non essendoci l’alta specificità dell’ospedale, i costi di gestione sono notevolmente ridotti.

 

 Che cosa succede quindi senza continuità assistenziale?

Il paziente ha poche possibilità: o viene inviato – in verità i posti sono pochi e non coprono le richieste – in due strutture ben fuori zona per noi, e cioè Ovada e Casale, con un disagio per il paziente che è lontano da casa e rimane solo per la maggior parte del tempo, perché i familiari lavorano e spesso sono costretti a chiedere aspettativa se vogliono seguire in modo adeguato il parente e gli amici non sempre possono raggiungere luoghi così distanti; oppure va in strutture fuori regione, molto più dispendiose per l’ASL; oppure ancora più dispendioso, viene richiesto qualche giorno in più di ricovero in ospedale per organizzare al meglio il rientro a domicilio; oppure è tenuto a casa tra mille difficoltà, eventualmente, per quei pochi che se lo possono permettere, con una badante o in casa di cura e qui la spessa grava tutta sul paziente e famiglia, e in tempi di crisi…..

 

Come si può ovviare a tale situazione?

La proposta/richiesta che pochi giorni fa ho presentato al nuovo Direttore Generale della nostra ASL Paolo Marforio – insieme alla Medicina di famiglia – è di riattivare il prima possibile i 20 posti letto di continuità assistenziale nelle strutture per anziani già esistenti nel nostro distretto in modo da offrire nuovamente una adeguata assistenza al paziente cosiddetto fragile, senza gravare troppo sulle già scarse risorse economiche della nostra Azienda Sanitaria. In tal modo, non solo queste persone non vengono allontanate dal loro territorio e possono avere accanto più a lungo parenti e amici, ma possono anche essere curate dal proprio medico di famiglia, affiancato dagli specialisti da cui sono stati curati in ospedale e dal personale della struttura stessa già adeguatamente formato per fornire assistenza nel periodo post-acuto. Si ottiene così un doppio vantaggio: un risparmio per il sistema sanitario e una migliore qualità di vita per il paziente e anche per la sua famiglia.

19 giugno 2012



 

 

 

 

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