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ALESSANDRIA: Raccontiamo la storia di 4 "invisibili" senza casa tra 40 e 48 anni, Marco, Mohamed, Alda e Laurina che….

Tra dicembre 2011 e marzo 2012, si è svolto il progetto “Emergenza Freddo“ realizzato grazie alla collaborazione un gruppo di lavoro composto da molte associazioni di volontariato. Per il periodo invernale, ad Alessandria, sono stati attivati oltre 60 posti letto per gli uomini e 8 posti letto per le donne, ai quali hanno avuto accesso le persone che ne hanno fatto richiesta.

Ogni sera (dalle 20.00 alle 08.00 del giorno successivo) erano presenti due operatori responsabili dell’accoglienza e due volontari per il servizio serale.

In molti casi, infatti, gli operatori e i volontari sono state le uniche persone in grado di dare un po’ di attenzione e di ascolto agli ospiti presenti e, attraverso il servizio, condividono con loro qualche momento della giornata.

L’obiettivo del progetto era quello di favorire l’inclusione sociale di persone in situazioni di povertà estrema, soggetti che hanno rotto tutti i legami con una normale vita sociale, persone prive delle risorse per soddisfare anche esigenze basilari come l’alimentazione, la casa, l’igiene personale, il lavoro.

L’impegno del gruppo di lavoro, mira a sensibilizzare e a educare la comunità a non considerare nessuno “perduto”.

Le interviste ai protagonisti

Ogni anno, a conclusione dell’esperienza dell’Emergenza Freddo, il gruppo promotore ha restituito, in un momento pubblico, i risultati dell’attività, avendo cura di mettere in evidenza il peso e la complessità del fenomeno delle persone senza dimora nella nostra città.

In questa occasione, hanno voluto fare emergere le storie delle persone che ci hanno chiesto ospitalità, nell’intento di non scordarci che i problemi sociali hanno volti, nomi, emozioni.

Per questo, senza alcuna pretesa di rigorosa analisi sociologica, hanno somministrato alcune interviste a donne e uomini protagonisti di questa esperienza, per offrire loro un’occasione positiva di visibilità e per restituire dignità alle storie personali.

Le interviste sono state costruite col preciso obiettivo di sottrarre le persone ai giudizi ed alle valutazioni a cui, forse necessariamente, sono sottoposte quando si rivolgono ai servizi, e di valorizzare invece i loro saperi e i loro vissuti. Nell’elaborazione della traccia di intervista si è perciò posta molto cura nel formulare domande non invasive che consentissero di ricostruire le tappe di un percorso e di mostrarne i momenti di frattura che hanno determinato la condizione di senza dimora.

 

I 4 PROTAGONISTI

Gli intervistati sono quattro persone ospiti delle strutture di accoglienza Caritas, individuati grazie alla loro disponibilità, al buon rapporto creato con gli operatori di riferimento, al desiderio di raccontare la loro storia.

Marco, cittadino italiano, 48 anni, un’apparente storia lineare fatta di famiglia, ciclo di studi dell’obbligo, lavoro in fabbrica per 25 anni e poi la discesa attraverso la precarietà fino all’assenza di qualsiasi opportunità connessa all’isolamento dalle proprie reti di solidarietà.

Mohamed, 45 anni, cittadino marocchino, infanzia e adolescenza in patria, ha tentato nel suo paese le prime esperienze lavorative, poi, con l’approvazione della famiglia, ha tentato una sorta di salto nel buio con l’immigrazione in Italia, verso un futuro idealizzato fatto di benessere e lavoro sicuro. Al contrario, Mohamed intraprende una carriera deviante, conosce l’esperienza del carcere, un trauma cerebrale, l’invalidità permanente.

Alda, 40 anni, italiana, povertà in famiglia, adolescenza e lavori pecari, gravi incomprensioni nelle relazioni tra fratelli, la decisione di liberarsi/liberare la famiglia del peso del disagio relazionale attraverso la fuga da casa. Nel suo migrare tra servizi che accolgono i senza dimora senza trovare alcuna risposta, sale su un treno e arriva ad Alessandria, dove durante l’estate 2010 trova aiuto in Caritas per un posto letto e una “sosta psicologica” in attesa di ripartire.

Laurina, cittadina ucraina, 48 anni, giunge in Italia, come tante assistenti familiari a cercare lavoro nel campo della cura agli anziani. In patria c’è una parte della sua famiglia, in Italia un figlio che sta creando una propria autonomia con pochi mezzi. Laura porta i segni emotivi dell’esperienza del lavoro in convivenza dove viene pagata con piccoli acconti e lunghe attese sotto un sottile ricatto della promessa del permesso di soggiorno. Oggi è diffidente, approda all’ostello per poter decidere dove lavorare e non essere nuovamente preda di famiglie che si approfittano della sua condizione di bisogno estremo.

 

LE 4 STORIE DEI NOSTRI PROTAGONISTI

Il lavoro costituisce il tema dominante dei racconti degli intervistati: da contenitore dell’ansia, risolutore di tutti i problemi, risorsa per la sopravvivenza, a motivo scatenante un lungo viaggio, inizio della fine di un’esistenza normale. Il lavoro è sicuramente il segno dello spartiacque, della linea di confine tra inclusi ed esclusi, tra benessere e malessere, tra ideale e realtà.

E’ il caso di Marco che fa ricondurre alla mancanza di lavoro il percorso in discesa nella scala sociale verso una situazione di povertà estrema il cui ultimo approdo è costituito dai servizi Caritas..

… Scuole dell’obbligo normali, due anni di superiori e venticinque anni di fabbrica. Mancanza di lavoro … Purtroppo negli ultimi quattro anni non avendo neanche un lavoro precario, né precario né stabile, né determinato né indeterminato: zero. Si svuota il guscio, difatti il guscio è stato svuotato e poi all’inizio di dicembre lo schiaccianoci, ed è stato distrutto.(Marco)

Il passaggio alla condizione di povertà estrema è un lento percorso fatto di lavori precari, di tentativi di emigrazione, di viaggi.., un assistere anche ai mutamenti generati dalla mancata salvaguardia dei diritti dei lavoratori, il tentativo di leggere la crisi di questo tempo non solo attraverso la dimensione individuale ma anche quella sociale:

cambiando, facendo varie esperienze soprattutto all’estero, le cose non sono andate come avrei voluto io e sono terminate. Poi adesso con la legge interinale, … diciamo che lo statuto dei lavoratori si sta sfaldando, si è sfaldato. La legge …che doveva proteggere non esiste più, non esiste più il mondo operaio …esiste soltanto una cosa astratta.(Marco)

La condizione di senza dimora , il passaggio alla vita della strada è definita come lo shock, capace di annullare la variabilità delle fasi e dei cambiamenti del suo passato affermando esclusivamente un prima e un dopo. La definizione di shock fa riferimento alla perdita della casa e l’ingresso all’ostello Caritas:

…Prima di adesso era stabile, gli anni scorsi non ho avuto nessun problema, poi c’è stato lo shock, non avendolo mai fatto, ma non è gravissimo … penso che si riesce a superare lo shock: vai in un ambiente che non è il tuo….

…Non ho più famiglia: ci son solo i miei, il resto della mia famiglia non può immaginare una cosa del genere, non capirebbero.(Marco)

Una nuova quotidianità si presenta nella giornata di Marco, è lo stare sospeso tra l’uscita mattutina e il reingresso serale in ostello. Ciò che colpisce è la capacità di adattarsi alla vita della strada, senza perdere di vista la bussola della ricerca del lavoro, unico appiglio alla condizione di vita precedente…

Questo stand-by delle dodici ore fra l’uscita da via Mazzini 85 al rientro è un bello stand-by. Si cerca di organizzarsi. Io cerco di organizzarmi un piano per il lavoro, per di qua, per di là… però diciamo che a mano a mano è passato, diciamo che il piano si sta sfaldando. Comunque passo le dodici ore; mi accorgo che è difficile farlo.

…sono ancora vivo… però non sono sicuro, sinceramente, non penso di essere vivo. Penso di essere morto…da dicembre..(Marco)

Laurina racconta l’idea di un viaggio verso una meta ideale, capace di portare cambiamenti e benessere per sé e la propria famiglia e che invece consegna la realtà e il peso del lavoro di cura dentro le famiglie:

…Un po’ sono cambiata… Quando dovevo venire in Italia sentivo dire “l’Italia è bella, l’Italia è calda, l’Italia è così…” Tanti di noi sono venuti qui con l’idea di divertirsi in Italia ma quando si comincia a lavorare tutto cambia… Per avere i soldi bisogna lavorare, non ti danno soldi così…

Quando si inizia a lavorare come badante con gli anziani e i malati non si può andare dove si vuole, quando si vuole… Devi rispettare le famiglie e andare d’accordo con loro e perciò…(Laurina)

Perciò sono cambiata… devo stare in silenzio e lavorare….…(Laurina)

L’illusione di un cambiamento può anche scontrarsi con forme di sfruttamento che avvengono tra due debolezze: la debolezza della famiglia dell’anziano non autosufficiente e quella della donna straniera la cui sopravvivenza dipende dalla famiglia stessa:

….E’ successo che una famiglia non mi ha pagato per quasi un anno, mi davano poco poco per fare in modo che io non li lasciassi…dovevo sempre aspettare per avere i soldi e andare avanti e avanti… Certo, i miei sogni si sono scontrati con la realtà…

…Sono andata avanti, vediamo cosa dice la legge italiana; ancora oggi non mi hanno pagato… Bisogna andare avanti, devo cercare lavoro, devo lavorare e aspettare questo pagamento…(Laurina)

La decisione del viaggio nasce da una condizione estrema ed è il prezzo di negoziazioni e mediazioni dentro la propria famiglia in cui i legami affettivi hanno un profondo valore …

… Mia mamma e le mie sorelle mi dicevano che facevo bene a partire così avrei potuto trovare un lavoro e aiutare i miei figli… mio papà non voleva, sono partita due anni dopo la sua morte.

La mia famiglia è importante… ma la cosa più importante era ciò che pensavano i miei figli. Avevo deciso con i miei figli che la cosa migliore in quel momento era venire in Italia… La situazione è molto pesante in Ucraina per quanto riguarda il lavoro, i pagamenti… abbiamo deciso che per il momento rimaniamo qua in Italia..(Laurina)

Nel caso di Mohamed la decisione di partire nasce dalla necessità di sollevare la famiglia del peso della povertà, dal desiderio di non costituire un ostacolo alla possibilità di studio di un fratello.

… non pensavo di avere sbocchi, avevo l’impressione che non c’era molto lavoro. Mio padre dovette rendersi conto che non poteva aiutare mio fratello che studiava e allora ho detto basta, vado via, mi trovo un’altra situazione migliore… ( i miei amici) mi incoraggiavano, mi dicevano – adesso tu vai via, a trovare (cercare) una situazione migliore, vai, prova – e sono andato.(Mohamed)

Per Mohamed, il viaggio ha coinciso con le tappe di un percorso deviante, il carcere, la conflittualità estrema , l’impossibilità di salvarsi da una grave aggressione avvenuta durante la reclusione:

…..successivamente è capitato di trovarmi in coma. Sono stato coinvolto in unincidente. (In carcere) mentre giocavo a pallone….Sono stato colpito con una sbarra di ferro e mi hanno portato direttamente in ospedale. (Ho lesioni) permanenti: a volte non reagisco, a volte sbaglio a rispondere, a volte anche a fare qualche movimento. Ho fatto delle visite e mi hanno detto che ho una malattia psicomotoria.(Mohamed)

Per Alda il viaggio ha a che fare con la rottura con la famiglia d’origine.. e la dipendenza dall’alcool:

..prima vivevo con mia sorella, mia madre e ultimamente anche con mio fratello… ci sono stati un po’ di problemi per via dei caratteri che non sono molto uguali: io e mia sorella ci scontriamo sempre e ho deciso di andarmene.. poi il problema dell’alcool, poi c’era qualsiasi cosa che non andava…(Alda)

IL FUTURO

Un altro tema riguarda l’idealizzazione del futuro. In quello di Mohamed c’è il rientro in Marocco, un rientro idealizzato, senza possibilità di crisi, fallimento , una sorta di favola a lieto fine, di ritorno alle origini, a contatto con la famiglia :

…..Stare vicino ai miei e poi andare a cercare lavoro….. .. Al ritorno vorrei vederli, toccarli e… Penso che mi sposerò ( in Marocco) e poi vivrò vicino a loro…(Mohamed)

In Laurina invece la visione della sua immigrazione non prevede l’idea di aver lasciato il suo paese; l’espressione “lasciare” presuppone evidentemente un distacco che la donna non vive. Infatti afferma:

…Non ho proprio lasciato il mio paese, ho dei parenti in Ucraina, tanti sono andati anche loro a vivere in altri paesi. Io.. io sto dove sta mio figlio, uno in Italia, l’altro in Ucraina.. ora decidono loro cosa fare e poi decidiamo dove andare, dove rimanere…..(Laurina)

Un ultimo tema ha riguardato il significato dell’esperienza dell’ostello:

…È diventato come il (…). È diventato il rifugio dal quale andare alla ricerca di un lavoro, alla ricerca dei compagni, di nuove esperienze, un riferimento dove trovare persone che ti chiedono come stai… veramente siete stati molto gentili. Grazie. (Marco)

Laurina identifica l’ostello in un buon punto di partenza per la ricerca del lavoro, la base sicura attraverso la quale staccarsi solo in presenza di una qualche certezza :

..devo rimanere qui e cercare.. voglio rimanere in provincia di Alessandria; mi hanno dato un posto letto e questo è importante, poi ho trovato tante persone che mi hanno conosciuta, che mi capiscono, che credono in me.. questo è importante, sono contenta di essere venuta qui….(Laurina)

 LA SPERANZA FINALE 

Tutti i nostri protagonisti sono accomunati dalla speranza di un cambiamento, a partire da quel porto sicuro che è l’ostello, futuro idealizzato, forse diluito in un eterno presente, nella apparente serenità data dalla continuità dell’assistenza che ogni dodici ore garantisce il riposo e la possibilità di ripartire con il proprio sogno, magari lungo un solo giorno.

.. il mio futuro? Non lo so. Riesco a immaginarlo… ripartire con il lavoro… non so… se non mi aiuta qualcuno difficilmente ripartirò. Mi sembra tanto difficile….Ma sicuramente, la speranza c’è sempre.(Marco)

Nessuno dei protagonisti delle interviste rivendica diritti di cittadinanza, interventi di aiuto da parte dei servizi: è presente invece un sentimento che oscilla tra la rassegnazione e l’illusione/desiderio che il futuro sia interamente nelle loro mani:

Alda: .. sì, poi tocca a me…

Laurina: …..speriamo che questa crisi passi, speriamo di poter prendere in affitto una casa…. Per adesso direi grazie di tutto.. perché abbiamo un posto dove stare e mangiare.. poi pazienza ….ci vuole, perché siamo tutti diversi…

9 marzo 2012

 

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