E’ morto a 84 anni.don Luisito Bianchi. Il sacerdote ha abitato per qualche tempo ad Alessandria ed è stato un personaggio unico, un caso letterario. Proprio Alessandria rappresentò una tappa fondamentale nella sua vita, oggi definito dalla critica “una rivelazione non solo come teologo scomodo o come sacerdote inquieto, ma anche come narratore” e paragonato a Rosetta Loy e Pupi Avati. Il suo romanzo “La messa dell’uomo disarmato” infatti ha guadagnato “terze pagine” nazionali del tenore: “E’ un capolavoro, sì un capolavoro complesso e multiforme, che affronta la Resistenza sia nella sua accezione storica sia in senso civile e filosofico, anzi teologico”. Resterà nella storia della cultura e della letteratura, non solo ecclesiale. Ma è anche un romanzo storico di personaggi raccontati “dal basso”.
“Per noi alessandrini – dice Lino Balza – non è una scoperta né come scrittore, né come uomo, né come prete. Prima di approdare, quarantenne, nel febbraio ’68 alla Montecatini Edison di Spinetta Marengo don Luisito non si sente a suo agio nel ruolo di prete come viene inteso dalla Chiesa. Neppure gli anni trascorsi dopo il seminario e la laurea (sui contadini della Val Padania) come vice presidente alle Acli di Roma lo hanno rasserenato: “Riflettevo su una Chiesa come fonte di denaro e potere: io non volevo essere pagato in quanto sacerdote, perché l’annuncio del gratuito deve essere fatto gratuitamente”. Così fu prete operaio, turnista al reparto Titanio della Montecatini.”
L’ultima sua visita ad Alessandria è di pochi anni fa, fra un folto pubblico di ex compagni di lavoro nel salone della sua ex fabbrica di Spinetta.
“Lavoravamo nello stesso reparto, addirittura nello stesso turno – raccontava Salvatore Del Rio, in seguito segretario generale della Camera del lavoro – una persona riservata, che non lasciava trapelare il suo travaglio interiore. Benché io tentassi con lui il proselitismo sindacale, non mostrava impegno o interesse politico e sociale”.
Giovanni Carpenè, prete operaio e funzionario della CGIL da sempre impegnato nel sociale, ricordava: “Eravamo entrambi assistiti dal vescovo Almici. Lo accompagnai io stesso presentandolo al direttore della Montecatini. Abbiamo vissuto tre anni nella stessa casa in via Volturno. Si divideva fra i turni e il padre ammalato a Cremona. Da allora ci siamo sempre mantenuti in contatto. Ogni tanto mi mandava un libro.”
“Di questa esperienza spinettese, la svolta della sua vita – continua Lino Balza – don Bianchi fornì testimonianza in un libro scritto di getto in due mesi, “a testa bassa” come ha sottolineato con modestia, edito nel ’71 da Morcelliana (pp. 281): “Come un atomo sulla bilancia. Storia di tre anni di fabbrica”. Chi scrive ha voluto più volte negli anni seguenti recensire l’opera prima di don Luisito e l’ha raccomandata alla lettura non solo quale prezioso patrimonio della storia operaia locale ma soprattutto per le qualità di romanziere del suo autore: che senza complicazioni teologiche o sociologiche racconta. Semplicemente e splendidamente racconta la vita in fabbrica, l’amicizia, l’amore per il prossimo. Con passione religiosa, poesia, ironia. Suo padre gli disse: ‘se proprio vuoi fare il prete, almeno fallo giusto’. Pensiamo che ci sia riuscito.”
14 gennaio 2012